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Judo

Serena e Gianni Maddaloni: judo con anema e core

L’occasione per fare una chiacchierata è quella della Cadet European Cup di Lignano dello scorso 12 e 13 febbraio, dove Serena Maddaloni dello Star Judo Club Napoli ha conquistato la medaglia di bronzo nei 63 kg, sconfiggendo nella finale per il terzo posto, l’olandese Isabel Van Maren.

Serena, un’immagine di questa gara: come l’hai vissuta?

Come prima gara dell’anno è andata bene: ovviamente volevo l’oro, come tutti no?! Comunque il bronzo è una bella medaglia, perché comunque hai vinto una finale, non l’hai persa, meglio del secondo sicuro. Infatti in due gare consecutive ho fatto seconda e mi bruciava troppo, volevo una finale e la volevo vincere.

Dove trovi la motivazione quando vai in gara?

Quello che mi ripeto sempre è che devo avere gli occhi della tigre, sempre, non solo nel judo, ma anche nella vita, che, secondo me è tutta una questione di testa, così come lo è il judo. Per cui quello che mi ripeto sempre prima di salire sul tatami, e qualcuno mi prende pure per pazza, sono “gli occhi della tigre”!

Tipo Rocky?

Esatto! Io prima di andare in gara mi vedo Rocky: ora sono a Rocky III, perché questa è la terza gara! Una gara non l’ho visto e ho perso.

Sei scaramantica quindi?

Diciamo che un pochino sì, ma solo su queste cose qui, in realtà mi rendo conto che la fortuna o cose simili non c’entrano, se c’è la testa, come ho detto prima, si può riuscire. Bisogna essere bravi, punto.

Il tuo cognome è più un peso o un aiuto?

È un cognome pesante, che bisogna saper portare. Io spero di saperlo fare. Per il momento credo che gli sto facendo onore. Ovviamente questo è solo l’inizio: essere cadetti è una preparazione all’essere senior, nemmeno junior: mio fratello Pino ha iniziato a vincere che era uno junior che si confrontava con gente più grande e guarda dov’è arrivato! Ha fatto un oro alle Olimpiadi. Lui per me è sempre stato il mio idolo, anzi no, è un esempio, perché lui mi dice che noi dobbiamo essere gli idoli di noi stessi, esistono i buoni esempi, non gli idoli.

Quando guardi a lui e ai suoi risultati fai dei confronti?

Sì, ma io non aspiro a quello che ha fatto lui, io aspiro a qualcosa di più: bisogna guardare lontano, se pensi in piccolo significa che ti stai accontentando di quello che hai attorno.

E tu, adesso, dove guardi, nel breve periodo?

I miei obiettivi per ora sono semplici, almeno da dire: migliorare e vincere. Nella vita non si deve peggiorare mai: o si migliora o si rimane allo stesso punto.

Com’è organizzata la tua vita tra scuola e sport?

Ovviamente dedico molto tempo al judo, perché è di quello che voglio vivere. Voglio dare tutto al judo, senza riserve!

Che cosa significa avere tuo papà come allenatore?

È semplicemente la persona più speciale che ho sulla faccia della Terra.

C’è una parola o una frase d’intesa tra di voi, solo vostra?

Non proprio, cioè, è una cosa che vogliamo capiscano tutti: sei la più forte! E io ci credo. Non sempre forse vinco, ma in futuro so che ce la faremo, insieme.

Dagli spalti il padre/maestro osserva le premiazioni; poi, finalmente, abbraccia sua figlia e la manda a cambiarsi, cercando di mantenere l’equilibrio nel duplice ruolo di genitore e maestro di judo.

Maestro, che cos’è cambiato in questi anni, dagli esordi della Sua società sportiva a oggi?

Non è cambiato niente: sempre le stesse motivazioni ed emozioni. Commozione alla fine per il grande sforzo fatto da parte dell’atleta, da parte del maestro /papà, da parte di tutta una famiglia in momenti come questi, con le problematiche legate alla pandemia, con difficoltà economiche e di socialità. Ecco, forse è questo a essere cambiato: si sente un qualcosa in più rispetto a prima. Le emozioni ci sono e mi sono anche commosso, lo sono ancora come vede… credo che la pandemia ha dato un colpo più forte che ci ha scosso tutti. Spero che ci liberiamo facilmente e al più presto di questa cosa nel prossimo periodo.

Quali sogni sono rimasti che la pandemia non può rovinare?

Voglio portare Serena agli Europei e ai Mondiali e spero che li vinca: questo è uno dei miei sogni.

Oltre a Serena ha anche un figlio, Bright, che combatte negli 81 kg e che oggi era in gara all’European Open di Sarajevo: è difficile gestirsi tra i figli, anche nella veste di coach?

Oggi Bright era a Sarajevo con le Fiamme Oro ed era ben tutelato dal Maestro Enrico Parlati. Per quanto mi riguarda era giusto che io stessi qui vicino a Serena, che ha sedici anni, mentre Bright è più grande.

Io uso sempre un sistema, sono un metodista, come lo facevo con Pino e Laura -che avevano quattro anni di differenza tra loro-, Marco, Francesco, ora lo faccio con Bright e Serena: quando c’erano due gare in concomitanza andavo sempre dal più piccolo, come è successo oggi.

Tornando a Serena, oggi ha scelto di non seguirla nella finale per il bronzo. Come mai?

Sempre questione di emozione… pensavo di aver messo il vestito richiesto per le finali nella valigia e invece non ce l’avevo! Avevo preso la valigia di mia figlia, che è più piccola, per risparmiare sulle spese di viaggio… alla fine ho approfittato del mio amico Massimiliano Pasca, uno dei tecnici della nazionale italiana cadetti. Una bella squadra quella nazionale, con tecnici magnifici come Vito Zocco, Alessandro Comi, Luca Ravanetti… mi scuso se dimentico qualcuno! C’è qualcosa di positivo, di bello in tutti loro che credo arrivi agli atleti e credo che, grazie a loro, i ragazzi faranno un bel percorso per arrivare a europei e mondiali.

Il Suo impegno nel sociale in tutti questi anni è risaputo. Quanto ha influito la pandemia con le sue problematiche sull’attività che porta avanti?

Il sociale lo continuiamo sempre a fare, perché ragazzi che non hanno i genitori o stanno in carcere, noi li accettiamo sempre; ragazzi diversamente abili messi nei turni dei normodotati, ragazzi con iperattività, senza contare i bambini che da questa pandemia ne sono usciti con le ossa rotte psicologicamente e noi abbiamo il dovere di ospitarli. In palestra pagano il 30%, si sa ormai la storia: fortunatamente ci sono degli amici che mi danno una mano, ma anche politici, come il Presidente della Regione Campania De Luca.

Qual è il riscatto sociale più bello avuto negli anni?

Un ragazzo che prendeva 11 rapporti al giorno, con la famiglia dal papà, al fratello ai cognati tutti nella Camorra, oggi, dopo 8 anni, è cintura nera, è uno dei miei allenatori, insegna ai bambini e mi ringrazia per quello che ho fatto per lui, perché, così facendo, lui ha cambiato strada e ha fatto sì che anche quelli intorno a lui la cambiassero. Oggi il papà lavora, fortunatamente: vuol dire che il ragazzo ha dato un esempio a tutta la famiglia, un esempio di legalità, civiltà, onestà. Mi piace quando dice “io devo tutto a te”, perché mi commuovo. E io credo che un guerriero deve commuoversi, altrimenti non è un vero guerriero: se tu trattieni le lacrime, poi trattieni la rabbia.

Se guarda al futuro c’è ancora un sogno nel cassetto da realizzare?

Vedere felice la mia famiglia, il mio popolo, la mia gente. Aprire la Cittadella dello Sport sulla Caserma Boscariello e dare la possibilità a 6000 persone di fare sport. Quello che mi auguro è, un giorno, di essere ricordato come qualcuno che ha fatto qualcosa per la sua gente.