Entusiasmo: è questo che trasmette il primo impatto con Alessandro Losito, coach del Kodokan Chieti, prestato allo Skorpion Stage in sostituzione di Deborah Gravenstijin, che ha dovuto rinunciare per cause di forza maggiore all'ultimo. Una prima esperienza che coach Losito ha affrontato con determinazione e molta serietà, dando il 100% per restituire il risultato migliore possibile, sentendo la responsabilità del proprio ruolo.
Questa è stata la tua prima esperienza di insegnamento a uno stage: com’è andata?
Oggi ho concluso i quattro allenamenti previsti come insegnante in programmazione di questo camp e, tutto sommato, a parte il primo allenamento in cui ho dovuto rompere il ghiaccio, dopo mi sono trovato bene sia con i ragazzi che con il clima che è molto ospitale. È stata una responsabilità, ma allo stesso tempo un onore e devo dire che mi sono divertito anche molto.
In questo periodo storico in cui si parla di perdita di valori tra i giovani che cosa può dare il judo ai ragazzi?
Io penso che il judo, oltre a fortificarli da un punto di vista etica, tiene anche i ragazzi in un ambiente protetto: le palestre sono un posto sicuro in questi tempi che non sono del tutto tranquilli.
Nella tua carriera di judoka c’è stato un momento che in qualche modo ha costituito una svolta per te?
Sì, probabilmente sì, nel senso che io ho iniziato judo perché lo faceva anche mio padre, quindi un po’ per tradizione… dopo di che ho lasciato per un periodo, ma, anche grazie al mio maestro, che mi ha cercato e quando sono tornato in palestra ho ritrovato l’amore e da lì il judo è diventato praticamente la mia vita.
Come hai appena ricordato, ci sono dei momenti in cui può capitare di aver voglia di mollare il judo, per mille ragioni. Cosa ti sentiresti di dire a chi attraversa una crisi di questo genere?
Sicuramente il judo è uno sport difficile. Come tecnico spesso ti porta a essere tutti i weekend in giro per le gare e quindi possono capitare dei periodi in cui ti senti più stanco, ma quando sali sulla materassina con i ragazzi ritrovi tutte le motivazioni e ti ricordi perché lo stai facendo e tutto passa. Quindi impegnativo sì, ma gratificante e forse la cosa più bella che si possa fare.
C’è qualcosa del judo che ti porti ogni giorno nella vita fuori dal tatami?
Sì, il fatto di non mollare mai, di non arrendersi mai e di affrontare i problemi come un qualcosa da risolvere, quindi non crearsi problemi, ma trovare una soluzione a tutte le difficoltà che si incontrano nella vita.
Torniamo allo stage di Piancavallo: è uno degli stage in Italia che registra una partecipazione molto alta di bambini anche molto piccoli. Secondo te far partecipare i bambini a uno stage di questo genere ha un senso?
Secondo me è una grande occasione di crescita, che, al di là dell’aspetto tecnico, contribuisce a creare legami e un certo tipo di mentalità e un amore per questa disciplina, facendogli respirare fin da piccoli quello che sarà il loro percorso, perché qui, nel tatami a fianco, vedono i più grandi che si allenano e combattono. Questo spirito poi se lo porteranno per sempre dentro, al di là di quello che imparano sul tatami.
Ora che hai rotto il ghiaccio nell’insegnamento agli stage ti piacerebbe ripetere l’esperienza in futuro?
Sto ancora metabolizzando quello che è successo in questi giorni, perché mi sono trovato catapultato in questa esperienza: mi è piaciuto e mi sono divertito! Sicuramente è una responsabilità in più perché ci sono le famiglie che spendono dei soldi per far partecipare i propri figli a imparare judo e a farli crescere. Quindi sì, mi piacerebbe cimentarmi ancora, ma ragionando e sapendo che quello che si sta facendo è una grande responsabilità.
Se potessi ripartire dal primo giorno faresti una proposta didattica diversa?
Ho seguito un filo conduttore in tutti i turni, a partire dai più piccoli fino ad arrivare ai più grandi e di questo sono soddisfatto, quindi lo riproporrei. Quello che mi ha lasciato un po’ meno contento, come ho detto all’inizio, è stato il primo allenamento, ma ripeto, perché mi sono trovato di fronte a una platea così grande… lì, potessi tornare indietro, modificherei sicuramente qualcosa. Tutto sommato, anche chiedendo il feedback dei tecnici più esperti, sembrerebbe che quello che ho proposto abbia fornito degli spunti di lavoro anche per i loro allenamenti e questo era il mio obiettivo, per cui penso che tutto sommato sia andata bene, considerato che era la mia prima volta!
C’è qualcosa che hai imparato guardando gli altri tecnici?
Quello che guardo sempre, dopo anni in cui giro gli stage da atleta e ora da coach, è sicuramente la tecnica, ma l’approccio è anche molto importante, per cui, quello che vedo e che cerco di rubare è l’approccio che hanno diversi tecnici di diverse nazionalità: qui abbiamo tecnici giapponesi, inglesi, ciascuno con le proprie caratteristiche. Per cui sto cercando di rubare al di là degli spunti tecnici come approcciare e come trasmettere quello che bisogna insegnare ai più giovani.