Sono trascorse alcune settimane dal Trofeo del Mosaico a Spilimbergo, che quest’anno ha avuto quale ospite d’eccezione l’arbitro mondiale Roberta Chyurlia. Quarant’anni, pugliese, avvocato penalista, miglior arbitro donna a livello europeo per quattro edizioni consecutive.
Chi la conosce fuori dal tatami dice di lei che è “troppo forte”, una “macchietta”, “divertente, intelligente, preparatissima”; chi la conosce come Ufficiale di Gara dice che “è un killer, non sbaglia un colpo”, “vede tutto”, “arbitra con lucidità e imparzialità”.
Basta vederla muoversi sul tatami, mentre spiega ai tecnici e ai colleghi UDG intervenuti all’aggiornamento arbitrale di Spilimbergo, per capire che di judo, ne ha visto e ne ha fatto tanto e bene.
Tiene viva l’attenzione con una simpatia travolgente ed è chiara e specifica nelle spiegazioni.
Ora è inserita nel “Progetto Tokyo”, un programma di studio e competizioni per una selezione di arbitri proveniente da tutto il Mondo, tra i quali verranno infine selezionati i più idonei per le Olimpiadi di Tokyo 2020.
“Roberta, qual è l’incontro che, emozionalmente, ti è rimasto più nel cuore?”
“Ce ne sarebbe più di uno, ma, andando in ordine di tempo, perché è un ricordo ancora troppo vivo per vederlo sbiadire, sicuramente la finale per il bronzo dei 60 kg tra i due giapponesi al Mondiale Senior, perché è stata la mia prima finale ad un Mondiale e perché la situazione non era facile: Giappone contro Giappone… il palazzetto era davvero una bolgia! L’incontro è stato più o meno equilibrato fino all’ultimo. Poi, a 18 secondi dalla fine del tempo regolamentare c’è il waza ari da parte di Nagayama; ridò l’hajime e mancavano praticamente 7 secondi quando Takata fa waza ari a sua volta e, allo scattare dell’ultimo secondo, quando sullo scoreboard erano segnati 0 secondi al termine, do anche osaekomi. Viene così stravolto quello che era l’esito dell’incontro sino a quel momento! Aver avuto la lucidità in quel momento di assegnare l’osaekomi, nonostante ci fosse 0 segnato sullo scoreboard, è stata una delle sensazioni più belle, perché mi sono resa conto che ero finalmente lucida e concentrata da poter arbitrare in qualsiasi competizione!”.
“È stato quello allora il punto di svolta, in cui ti sei detta: sono veramente un arbitro a tutto tondo o già prima avevi questa sensazione in qualche momento?”
“Devo essere onesta: oggi ho la consapevolezza di poter arbitrare competizioni di qualsiasi livello, però non mi sento assolutamente arrivata e credo sempre che ogni gara ti faccia imparare qualcosa. Per cui ritengo di avere ancora da lavorare per essere chi vorrei diventare. Spero di riuscirci”.
“Hai un modello a cui ti ispiri?”
“Non posso far altro che rispondere: mio padre! Di certo non riuscirò a fare tutto quello che ha fatto lui, ma è il mio punto di riferimento come arbitro e come uomo. È lui il mio modello”.
“C’è una terna arbitrale ideale nella quale ti piacerebbe trovarti in gara?”
“Allora, il gruppo di arbitri che fa parte del progetto Tokyo ha più o meno lo stesso livello di conoscenze tecniche e arbitrali, per cui mi sentirei di fare un torto a qualcuno, nominandone alcuni e non altri. Ovviamente ho le mie preferenze, ma non dal punto di vista personale, ma di sicurezza. Anche perché, la maggior parte di questi arbitri è costituita da persone alle quali io mi ispiravo e mi ispiro ancora adesso quando arbitro! Per cui, prima li vedevo da casa, ora ci arbitro insieme… ho ascoltato i loro consigli, mi supportano, comunque ci confrontiamo… per me è davvero un’esperienza bellissima lavorarci insieme! Ci sono alcuni tra loro che hanno già affrontato un’Olimpiade, numerosi Mondiali Senior… quando li vedevo da casa pensavo: mamma mia, come fa bene quel gesto, com’è sicuro… con questi arbitri ho la fortuna oggi di arbitrare!”.
“Sei judoka da una vita, si è visto prima sul tatami, ma sei anche una professionista affermata in ambito legale: è molto difficile conciliare le due cose?”
“Onestamente sì. L’impegno e il tempo che impiego per l’arbitraggio annulla quasi tutto il resto. Ho la fortuna di lavorare in uno studio con altri colleghi che mi stanno consentendo di fare questo percorso. Io sto soltanto supportando lo studio, da giugno. Non ho più clienti a livello personale, perché stare fuori tanti giorni, magari dall’altra parte del Mondo, dove, in Italia è giorno e dove mi trovo io è notte… diventa un problema assumersi queste responsabilità! Io faccio penale ed essere fuori, mentre magari un mio cliente ha bisogno di me perché è stato arrestato, perché è in carcere o quant’altro, non mi farebbe stare serena, né affrontare in modo adeguato questa esperienza, tanto più che stare, alcune volte, dieci o dodici giorni fuori da casa non è facile. E credo anche che, per il livello di tempo e impegno che ci è richiesto per affrontare questo tipo di competizioni, il futuro sarà da professionisti anche per gli arbitri, quasi sicuramente”.
"Questa domanda me l’hanno suggerita, spero di saperla riportare adeguatamente: come avvocato ti trovi da una parte della barricata e a giudicare è un altro. Poi ti ritrovi al centro del tatami e il giudice sei tu: questa inversione dei ruoli ti destabilizza ogni tanto o ti piace? “
“Questa è una domanda che mi ha fatto anche un bambino oggi nell’incontro nella scuola media in cui siamo andati qui a Spilimbergo. Le posizioni sono diverse, però forse la forma mentis, l’approccio a quella che è la situazione è uguale: quando esercito la mia professione, difendo gente che non vorrei mai avere vicino nella vita, perché so cosa hanno fatto... ma il mio mestiere è difenderli nel migliore dei modi. Se solo mi fermassi un secondo a pensare a quello che hanno fatto, non farei bene il mio lavoro. E forse questo è l’approccio che un arbitro deve avere alla competizione, ossia, se dovessi pensare a quante persone ci sono nel palazzetto, a quante persone sono lì per giudicarmi, a quanti mi guardano da casa, a qual è la responsabilità che avverti in quelle situazioni, non farei bene quello che devo fare. Per cui concentrarsi sull’obiettivo e sulla situazione, è una cosa che utilizzo nell’arbitraggio”.
“Tokyo 2020 è ormai dietro l’angolo. Quali sono le aspettative e le speranze che hai?”
“Nonostante siamo nel 2019, io sono una persona assolutamente scaramantica! Non ci voglio pensare! Anche perché l’impegno che ci sto mettendo non soltanto io, ma tutta la mia famiglia, mio marito, che mi sostiene in tutto e per tutto… ho la fortuna di avere una famiglia che è assolutamente coinvolta nel judo, che vive, respira e mangia judo, per cui questa è una grossa fortuna. Essere qui in soli due anni, perché la mia prima competizione in IJF è stato il Mondiale Cadetti nell’agosto 2017, per me è già un buon risultato. Far parte di quei ventiquattro arbitri che stanno girando per poter fare le Olimpiadi, sapendo che più della metà di loro ha già fatto un’Olimpiade, è solo un orgoglio! Ovviamente, non sono un’ipocrita, il sogno di ognuno di noi, come tecnico, come atleta, come arbitro è quello di partecipare ad un’Olimpiade. Non so se si realizzerà mai. Io ci spero, ma ci sono ancora tante gare, la quota continentale è veramente ristretta rispetto al numero e alla qualità degli arbitri europei che si approccia a questa selezione. Tu pensa che in Europa ci sono trecento arbitri. Di questi trecento in dodici facciamo parte del progetto Tokyo 2020 e di questi dodici quasi la metà, alla fine, non ne farà parte. Per cui, mi ripeto, onestamente è già un bel passo avanti. Ci spero perché, come tutte le cose, quando le inizi le vuoi finire. Dipende da me, poi il resto si vedrà!”
“Ci sono due atleti che vorresti arbitrare?”
“Allora, sarei curiosa di vedere come io mi approccerei nell’arbitrare, non perché sia un idolo per gli altri, ma proprio per testarmi io, Teddy Riner. Vorrei vedere quanto riesco a gestire determinate situazioni, perché è sempre difficile arbitrare idoli, come lo è lui ora… Mi piacerà continuare ad arbitrare Varlam Liparteliani, perché è uno degli atleti, secondo me, più forti e più tattici che ci sono, per cui è difficile arbitrarlo, ma è altrettanto stimolante farlo!”