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Judo

Mario Daminelli: umiltà e grandezza di un vero judoka

Una categoria spesso bistrattata nello sport è quella degli arbitri, forse scordandosi che, senza di loro, le competizioni non potrebbero esistere. Ma siamo sicuri di conoscere le persone che si mettono al centro del tatami e valutano l’operato degli atleti? Molto spesso si tratta di ex agonisti, passati dall’altra parte della barricata per i motivi più disparati.

Al Trofeo Internazionale Alpe Adria abbiamo avuto modo di parlare più approfonditamente con uno di loro, un pezzo di storia del judo italiano: il Maestro Mario Daminelli.

Genovese, classe 1957, con un palmares, in anni in cui emergere nel nostro sport era quanto mai difficile, da fare invidia ai giovani d’oggi: dodici titoli italiani assoluti, due volte campione d’Europa Speranze – gli attuali Cadetti -, quinto classificato ai Campionati del Mondo, oro ai Giochi del Mediterraneo e bronzo ai Campionati del Mondo Universitari. Soltanto per contare i titoli più rilevanti.

E ancora tre Olimpiadi sfiorate, un sogno accarezzato e spezzato a un passo dalla sua realizzazione.

Sulla carta le ho fatte le Olimpiadi –commenta il Maestro Daminelli - però ho visto bene di ammalarmi poco prima e allora a Montreal non sono potuto andare per quel fatto lì, invece a Mosca, essendo militare, c’era il boicottaggio italiano, poi per Seul ero in ballo, però non son riuscito ad andarci… parliamo della notte dei tempi eh!

Qual era la Sua categoria?

I pesi massimi. Anzi, a Montreal risulta che ho fatto due gare: i +93 e gli open (aperto a tutte le categorie di peso).

E il Suo avversario storico?

Ce n’erano tanti! Quello con cui finiva sempre un po’ a scaramucce, a mettersi per davvero quasi le mani addosso era un austriaco, Köstenberger: era un rissaiolo, ma io non ci stavo eh!

Molti atleti in questi giorni sono visibilmente nervosi: Lei come gestiva lo stress da gara?

Rompevo le scatole a tutti! Mi è sempre piaciuto fare la battuta, sdrammatizzare, buttarla in caciara! Penso che qualcuno che doveva fare le gare e cercava di concentrarsi ancora si ricordi di me in quel senso e spero non ce l’abbia ancora con me! Ridere mi scaricava, mentre per altri la cosa importante era concentrarsi e cercare di non sentire niente della confusione intorno, mentre, nel mio caso, la confusione la facevo io!

Come è passato da atleta a diventare un Ufficiale di Gara?

È stato quasi un caso… mi sono trovato a passare quando stavano facendo l’esame regionale e qualcuno mi ha detto “potresti provare a fare l’esame anche te… mi hanno buttato in mezzo, poi mi sono appassionato..

Negli anni il regolamento del judo è cambiato molto: da ex atleta e da arbitro come vive queste modifiche?

Sì, c’è stato sempre un adattamento, ma, secondo me, sempre andando dietro alle cose che studiano gli atleti, anche perché, tante volte i tecnici danno la colpa alla Commissione Arbitri che cambia le regole, ma tante regole che sono cambiate partono proprio da quello che i tecnici propongono e insegnano. Per esempio, il divieto di prendere l’avversario sotto la cintura secondo me è stato messo perché era diventata una lotta libera fatta col pigiama, neanche col judogi! Quindi han dovuto mettere una differenziazione.

Uno dei miei speciali era te guruma, come contro tecnica su attacco avversario, in cui andavo a prendere col braccio la gamba sotto la cintura e ribaltavo: non si può più fare e mi spiace, però le regole son regole e vanno rispettate.

Trova che questi adattamenti siano effettivamente di aiuto?

Credo che i primi che si adattano siano gli atleti, perché sono già più avanti, si aggiornano e, come si dice in Italia, fatta la legge, trovato l’inganno! L’atleta medio ragiona un po’ così. Ai miei tempi, per esempio, c’erano quelli che vivevano molto sul farti prendere le sanzioni, portandoti sul bordo per uscire fuori…

Ritiene comunque che ora il judo sia effettivamente più positivo?

Dipende sempre a che livello si guarda: se imposti il bambino a fare un judo tattico, farà per sempre judo tattico. Se gli fai imparare la cosa importante, come fare ippon, lui cercherà sempre di andare a fare ippon. Come i giapponesi del resto: a loro non gliene frega niente! Se stanno vincendo per waza ari continuano ad attaccare perché devono fare ippon! La cosa fondamentale è quella. Il principio è quello di vincere per ippon. Poi naturalmente subentra la tattica, quando sai che c’hai un avversario che tira in un certo modo, sai già come fare… ma i giapponesi vanno sempre alla ricerca della tecnica pulita. Poi c’è chi magari si specializza nella lotta a terra, chi è più bravo nella lotta in piedi, però l’obiettivo finale è lo stesso. È quello che la Federazione Internazionale vorrebbe che ritorni, che ci sia proprio una ricerca costante dell’ippon.

Parliamo di Alpe Adria: come trova il livello di gara di questi due giorni?

Non male, ci sono dei ragazzini che a vederli combattere, è un po’ sbagliato dirlo, ma pensi “questo combatte già come i grandi, soprattutto nella gara di ieri che erano cadetti, quindi under18. Alcuni di loro sono stati molto penalizzati dai due anni di stop e magari si sono trovati da esordienti B passare direttamente cadetti senza riuscire a fare neanche il torneo della parrocchia, perché erano bloccati… e si vede la differenza! Mentre quelli già un po’ più avanti con l’età si vede che sono già impostati.

E del livello arbitrale che dice?

Con tutti quelli con cui ho arbitrato mi sono trovato benissimo, senza problemi, eravamo d’accordo, bastava guardarci, anche perché abbiamo avuto qualche problema con gli auricolari, ma con uno sguardo ci intendevamo, perché alla base c’è un buon rapporto, nonostante tanti siano tesi per gli esami nazionali.

Un vecchio responsabile della Federazione Europea, un tempo, ci faceva spesso un discorso, ci diceva: il tecnico guarda soltanto da una parte, perché cerca di tutelare il suo ragazzo, quindi vede solo in una direzione. Noi arbitri dobbiamo tutelarli tutti e due, quindi la difficoltò nostra è guardare tutti e due e far vincere chi effettivamente deve scendere dal tatami vincitore.

Parlando di atleti, ne ha uno preferito?

Io sono rimasto legato ai miei tempi! E anche alla mia categoria, i pesi massimi. Per me il top rimane sempre Yamashita. Non ci ho mai fatto in gara, soltanto in allenamento. Anzitutto era un signore, perché era piacevole fare randori con lui, perché non era uno di quelli che cercava per forza di buttarti giù, perché alla fine lui sapeva che ti avrebbe proiettato, senza farti male, quindi ti faceva anche entrare, tanto, come dicono a Roma “je rimbalzavi contro!” –ride-. Però c’aveva una posizione fantastica! Nonostante che Riner ha vinto più titoli. Però Yamashita aveva dubito anche lui il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, sennò avrebbe senz’altro vinto! Un altro atleta che mi è rimasto è quello che è stato il più forte atleta dei 78 kg per dodici anni, Fujii, perché ha vinto cinque o sei mondiali, non ricordo di preciso… non è riuscito mai a fare un’Olimpiade perché perdeva sempre i trials in Giappone. Secondo me è stato uno degli atleti più bravi nella sua categoria. Quelli piccoli non li guardavo: erano troppo veloci per i miei gusti!

C’è ancora un sogno judoistico che vuole realizzare?

Be’, ormai sono arrivato: quest’anno finisco anche l’attività come arbitro in tutti i campi, perché compirò 65 anni e anche in campo internazionale finisco, quindi quello che è fatto è fatto. C’ho dei rimpianti, l’Olimpiade soprattutto ce l’ho sul gargarozzo, però non si può tornare indietro, non abbiamo la macchina del tempo…