Era il 2006 quando a Solferino si tenne la prima edizione del congresso annuale dell’AISE – Associazione Italiana Sport Educazione. Fondata dal Maestro Cesare Barioli nel 2002 e, dopo la di lui dipartita nel 2012, portata avanti da un gruppo di lavoro composito di cui fa parte anche sua moglie Ivana Gaio Barioli, l’AISE vede quale attuale Presidente Andrea Diotti. Tra gli obiettivi principali dell’Associazione c’è quello di approfondire quanto più possibile il Metodo Judo, così come ideato dal suo fondatore Jigoro Kano.
Non una semplice arte marziale improntata al combattimento, ma un modello di vita visionario e rivoluzionario per l’epoca del Professor Kano, che mirava a creare uno strumento educativo completo in cui ciascun individuo potesse esplorare il proprio potenziale per una crescita personale al servizio della Società.
L’eredità del Metodo Judo lasciataci dal Professor Kano è ancora vibrante e ricca di significato al giorno d’oggi, pur essendosi creato nel tempo un paradosso per cui, il maggior sviluppo del judo e la sua diffusione in campo sportivo, tendono ad allontanarlo dal suo spirito originario di crescita comune, condivisione e armonia.
Da qui la scelta del tema da trattare al congresso AISE di quest’anno: “Judo e la sfida della complessità – per un nuovo umanesimo -”, che, come sempre, ha visto la partecipazione di autorevoli studiosi e partecipanti anche stranieri. A scegliere il tema del Congresso, come sempre, il Comitato Scientifico composto da Ivana Gaio Barioli, Silvia Crema, Stefano Stefani, Vittorio Crema, Marcello Ghilardi e Francesca Antonacci.
In questi anni sono stati proposti diversi argomenti –ha commentato la Maestra Gaio- ogni volta legati al judo e connessi con il principio delle tre culture: Shobu-Judo, Rentai-Judo e Shushin-Judo [ndr le arti guerriere, la cultura fisica e la coltivazione intellettuale], tenendo come base l’asserzione del fondatore che “il judo è vasto e profondo”. Il tema di quest’anno è insolito e potrebbe apparire presuntuoso, ma non è proprio così.
Troppo spesso si tende a scordare l’interconnessione esistente tra uomo e natura e l’equilibrio che ne deriva: è necessario accettare l’imprevedibilità imposta dalla Natura e essere pronti al cambiamento e all’adattabilità. Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo: la nostra esistenza è in grado di determinare un cambiamento nell’esistenza altrui, in modi e conseguenze che non siamo in grado di prevedere. Essere in grado di sviluppare il nostro potenziale, in maniera da vivere in armonia nella Società e con la Natura è alla base del concetto stesso di judo.
Da questi temi ha preso le mosse l’edizione di quest’anno del congresso AISE, svoltosi a Milano nella sala “Capriate” della struttura Mosso nell’arco di due giornate, tra sabato 9 e domenica 10 novembre, che ha visto la partecipazione di diversi relatori provenienti da vari ambiti del sapere: Alessandro Pluchino (professore associato di Fisica Teorica, Metodi e Modelli Matematici), Giovanni Cristofolini (professore di Botanica Sistematica), Marcello Ghilardi (professore di Estetica e Filosofia dell’Interculturalità), Patrick Roux (atleta olimpico e maestro di judo presso l’Institut National des Sports de l'Expertise et de la Performance ) e Francesca Antonacci (professoressa in Pedagogia generale e sociale).
I relatori hanno saputo coinvolgere gli astanti (soprattutto i giovani) portando nuove teorie, dubbi, qualità perdute –ha sottolineato la Maestra Gaio-. C’è chi ha ricordato il valore del judo che sa unire le diverse componenti dell’esistenza umana; e chi ha espresso la perplessità se il judo attuale può ancora partecipare al progetto del fondatore che si realizza con “il miglior impiego dell’energia e il mutuo aiuto e la reciproca prosperità”; sul finire il mondo delle scienze dell’educazione ci invita ad osservare che oggi “educare” significa anche immaginare un futuro migliore e possibile, realizzare un progetto condiviso e il judo incarna questa prospettiva fin dalla sua fondazione.
Articolare il nuovo paradigma basato sulla complessità richiede troppo spazio, ma un piccolo indizio ai lettori per scoprire il “fil rouge” che lega la complessità al judo lo si può indicare con una frase, scritta da una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea: “… questo fiorire dell’io può avvenire solo in relazione ad un noi, alla comunità e alla società in cui si vive...” (Edgard Morin, 2023).
La domenica sul tatami della palestra Ronin di Monza il M° Patrick Roux ha tenuto una lezione che ha toccato tre tematiche fondamentali: gli educativi fondamentali per possedere una buona posizione in tachi waza e in ne waza; la necessità di intuire e sensibilizzarsi nel sentire lo spazio abitato dall’altro; la capacità e l’abilità di rompere la propria posizione per squilibrare l’avversario.
Certo non è facile raccontare con le parole quel che è stato spiegato con il corpo al corpo –ha concluso la Maestra Gaio- però con le parole si può comunicare la raffinatezza del suo judo e l’entusiasmo che ha trasmesso ai maestri e allievi presenti. Dalle giornate di questo congresso affiora, come un fiore di loto, la potenza del judo. A noi la scelta di non perderla.