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Judo

Dalla Georgia con passione: la storia di Maho

Gli stage sono fatti per allenarsi, certo, ma anche per fare esperienze ed approfondire amicizie e conoscere realtà completamente diverse da quelle alle quali siamo abituati.  Lo stage di Lignano ci ha dato l’occasione di conoscere la storia di uno dei membri dello staff, Malkhaz Bakhbakhasvili.

Judoka di origine georgiana, ormai da molti anni residente in Italia, è approdato a Trieste ormai da alcuni anni, trovando modo di allenarsi presso l’A&R di Trieste.

La storia di Maho, così lo chiamano tutti anche nella sua terra di origine, è lunga e interessante: gli anni giovanili in Georgia, l’inizio della pratica della disciplina verso i 12 anni (“prima facevo calcio, ero troppo magro per praticare discipline marziali!!” ride), a cui si è approcciato attraverso amici di scuola che già lo praticavano. “Poi loro hanno abbandonato, ma il mio amore per il judo era ormai troppo grande” afferma e guardandolo negli occhi si capisce che non scherza. “Nella scuola di judo si praticavano varie arti marziali, a partire dalla chidaoba, il tipico stile di lotta nazionale georgiana”. Poi gli anni di studio, l’irrobustimento del fisico, che da gracile diventa scattante e agile. Ma, soprattutto, un profondo amore per il judo. Un amore che il suo maestro nota ed incoraggia, apprezzando i progressi del giovane Maho e invitandolo a persistere negli allenamenti. Poi le prime gare, ad un livello sempre più alto, fino ad entrare, attorno ai 17 anni, nella squadra nazionale della Georgia.

Un anno di nazionale georgiana, alternando le gare ai primi ritiri in Russia, dove, girando le varie città, impara una lingua che non era la sua, il russo. Arriva la partecipazione ai Giochi di quello che, all’epoca dei fatti, era ancora URSS e l’invito a frequentare una sorta di Accademia Sportiva, in cui era possibile acquisire, attraverso lo studio e la pratica costante, il titolo di “Maestro del Judo”. Maho, diciottenne innamorato del judo, decide di lasciare il suo Paese che ama alla follia, e va’ a vivere per quattro anni a San Pietroburgo, dove, in qualità di atleta, entra nella nazionale russa.
Gli anni trascorrono veloci, Maho termina l’accademia, compreso il servizio militare di due anni, obbligatorio. Può decidere di rimanere e continuare ad allenarsi nei gruppi militari, ma la nostalgia è troppo grande e sceglie di tornare a casa: “La vita nei gruppi militari in Russia non permetteva grandi momenti di svago o libertà. Studio, allenamento per diverse ore al giorno, dormire”.

In Georgia non smette di allenarsi, anzi! Mette a frutto quanto appreso nella sua lunga esperienza. Riprende le gare e viene notato da un’altra nazionale, quella estone, in occasione di una gara a Tallin, capitale del Paese. Anche stavolta arriva la proposta di combattere per un Paese diverso dal proprio e Maho non dice di no. “Ho dovuto accettare e rimanere in Estonia: avevo la possibilità di allenarmi, di guadagnare qualcosa, di stare bene e mandare soldi a casa. Erano anni (verso la fine degli anni ’90 ndr) di cambiamenti politici importanti per l’Unione Sovietica che si stava sgretolando, tutto il mio Mondo stava cambiando, si percepiva la precarietà anche economica del momento, non potevo rifiutare un’occasione! Io avevo circa 24 -25 anni e partecipavo per conto dell’Estonia a varie gare nazionali e internazionali: i Paesi Baltici come l’Estonia sono stati tra i primi ad uscire dall’ex Unione Sovietica, acquisendo una nuova libertà anche di girare per il Mondo. Abbiamo iniziato a girare tutta Europa: Finlandia, Svezia, Danimarca, Francia, Germania… dappertutto! Non eravamo ancora stati in Italia però. Un giorno, appena tornati da una gara in Francia, ci è arrivato l’invito a gareggiare al Trofeo Sankaku di Bergamo e abbiamo accettato. Era l’inverno del 1990. Eravamo felici di venire in Italia, perché era un Paese che ci ispirava simpatia!”.

Anche qui la storia si ripete: Maho e altri suoi compagni di squadra vengono notati e gli viene proposto dal club bergamasco un contratto di prova di sei mesi, per allenarsi e disputare gare per conto della Società Sportiva italiana.
Il problema principale è che di lì a poco più di un anno si sarebbero svolte le Olimpiadi (Barcellona 1992). Dopo molte titubanze (“Non parlavamo la lingua italiana, eravamo concentrati sulla possibilità concreta di partecipare alle Olimpiadi e non sapevamo che cosa fare”), Maho e un paio di ragazzi della nazionale estone decidono di accettare intanto il periodo di prova di sei mesi: uno di questi ragazzi era Indrek Pertelson, poi bronzo ad Atene 2004.

Trascorsi i sei mesi i due atleti estoni decidono di tornare a casa e riprendere l’Università, mentre il georgiano sceglie di proseguire la propria esperienza italiana.

“Nel mio Paese stava iniziando la guerra con la Russia per i territori vicino al mar Nero ed era più conveniente per me continuare a stare in Italia che tornare indietro”. Questo naturalmente significava rinunciare del tutto al sogno di provare a qualificarsi per le Olimpiadi.
“Avevo quel sogno fin da bambino e non è stato facile per me fare quella scelta. Ma guadagnarsi una medaglia era una sfida che poteva anche terminare al primo turno, mentre qui mi veniva offerta l’opportunità che spesso gli stessi campioni non avevano: essere pagato per fare ciò che amavo. Non me ne sono mai pentito, anche se poi le cose non sono proseguite come speravo”.

Il contratto, infatti, ad un certo punto inevitailmente volge al termine, Maho torna a casa, mette su famiglia, intraprende altre strade, che, curiosamente, lo riportano in Italia, in altre vesti, ma sempre con al seguito un judogi e la passione judoistica che lo contraddistingue!

“Onestamente non ho più ritrovato qui il ritmo di allenamento che tenevamo in nazionale, ma ho avuto il piacere di confrontarmi con il migliore judo italiano e di condividere bei momenti e coltivare qualche buona amicizia”.

E ora?
“Ora continuo a fare judo e a mettermi a disposizione quando ce l’è bisogno! Ho 54 anni e non sono più agile come un tempo, ma cerco di trasmettere quel poco che so quando faccio judo con qualcuno in palestra, soprattutto con i giovani, anche se è difficile trovare quella voglia di faticare e di dare davvero il massimo e oltre che avevamo ai miei tempi”.

Segue le Olimpiadi con occhio attento e concentrato, non preoccupandosi se il commento è in italiano, russo o inglese, mentre si preoccupa che possiamo aver compreso tutto del suo peculiare modo di esprimersi da straniero in lingua italiana. Ma il judo parla un linguaggio universale, fatto di immagini e gesti che travalicano i confini e segue le regole dell’amicizia, del rispetto e della condivisione.

Ci lascia con questo pensiero Maho: “Ho girato mezzo Mondo grazie al judo e il judo mi ha quasi sempre fatto trovare gli amici migliori con cui condividere un pezzo di strada.  È quello che auguro a tutti i ragazzi che vedo qui allo stage!”.