Cristina Piccin è una judoka italiana che ha sempre diviso la sua vita tra Italia e Francia. Grazie alla mamma di origine francese, Cristina infatti cresce in un ambiente bilingue che, finite le scuole superiori in provincia di Treviso, le permette di studiare e laurearsi in Francia in scienze motorie all’università di Paris Descartes e in seguito di conseguire un master universitario in “Preparazione mentale, intervento e aiuto nell’ottimizzazione della prestazione” all’università di Clermont Auvergne.
In occasione del Winter Camp 2020 le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua esperienza.
Perché hai deciso di trasferirti in Francia?
Essendo mia madre francese, ogni estate mi recavo a Nizza per le vacanze e facevo judo nella palestra del Nice Judo. Dopo il diploma di scuola superiore ho deciso di partire per migliorare il mio judo e quindi mi sono trasferita a Nizza per iniziare gli allenamenti lì e iniziare l’università in un paese in cui le due attività ad alto livello possono essere complementari. Infatti in Francia esiste un sistema chiamato “sportivi di alto livello” che agevola gli atleti che desiderano continuare la formazione universitaria. In quel momento ero tra le più forti atlete della mia categoria in Italia e quindi il sistema universitario francese mi permetteva di conciliare gli studi con la doppia sessione di allenamento giornaliera.
Quali sono le tre principali differenze tra Italia e Francia nell’organizzazione e nella pratica del judo?
Sicuramente la quantità di atleti che praticano judo. In Francia c’è un sistema di raggruppamento di agonisti che parte dai Pole Espoir nelle province per i cadetti e i primi anni juniores, poi i Pole France nei capoluoghi di regione per gli juniores e in seguito il centro a Parigi per i seniores. Questo mi ha permesso di avere una grande quantità di avversari con profili diversi.
La seconda differenza che ho riscontrato è l’aria che si respira sul tatami e il tipo di judo. La scuola francese ha delle caratteristiche diverse rispetto alla scuola italiana, porta ad una forte sensibilità a livello di kumi kata e di sensazioni fisiche e percettive. Infatti, e forse chi è stato in Francia se ne è reso conto, durante il randori si cerca di avere un judo aperto alla ricerca dell’ippon e della fluidità. Ovviamente questo non è sempre facile, il lavoro è anche incentrato sull’automatizzazione di piccoli dettagli tattici indispensabili in ambito competitivo. Per quanto riguarda il clima che ho respirato in Francia – e questa è una mia interpretazione - nelle strutture in cui mi alleno oggi e con le persone che mi seguono vivo in un ambiente rilassato, sereno e ironico e ho notato che questo non succede solo nella mia palestra ma trapela anche negli altri club e nelle strutture in quanto si ricerca soprattutto il miglioramento e non solo il risultato. Ciò permette agli atleti di vivere serenamente pur utilizzando la giusta aggressività che serve sul tatami.. si può combattere divertendosi.
Un’altra differenza, è sicuramente il riscontro mediatico e l’interesse che anche la popolazione “non judoistica” ha per il judo. Essendo anche preparatrice mentale e personal trainer ho notato interesse anche da parte di altri sportivi. C’è tanta gente che segue questo sport, basta pensare al Torneo di Parigi. Il pubblico è ammaliato dal judo anche se non capisce a pieno le regole, e questo anche grazie ai campioni del passato. Infatti, per quanto sia difficile fare del judo di alto livello lavorando, mi sono sentita circondata da strutture e da un sistema che si interessa agli sportivi, in quanto lo sport in Francia è una risorsa e noi atleti di livello nazionale e internazionale siamo degli esempi di volontà e duro lavoro. Mentre in Italia, mi ricordo quando ero a scuola alle superiori, anche se avevo dei buoni voti, venivo sempre etichettata come la ragazza che non aveva voglia di far nulla e che saltava le lezioni per andare a fare le gare, pur riuscendo a gestire i due impegni. E’ un pregiudizio che la società italiana ha su noi atleti e che purtroppo ancora oggi persiste, quando invece io dico sempre nelle mie conferenze che noi atleti siamo esperti di emozioni, di certi tipi di intelligenza e le esperienze che viviamo fin da giovani ci permettono, chi prima chi dopo, di prendere consapevolezza di certi aspetti della vita che esulano dal tatami o dallo sport che pratichiamo.
Prendendo spunto dalla tua esperienza, che cosa importeresti in Italia dalla Francia e cosa esporteresti dall’Italia?
Sicuramente esporterei dall’Italia il cibo e la bellezza del nostro Paese (ride).
Importerei dalla Francia innanzitutto la connessione che sono riusciti a creare tra il mondo non judoistico e il judo. Che si parli di campioni come i miei compagni di palestra Maret e Chaine, presenti anche qui al Winter Camp, o che si parli di atleti meno medagliati, c’è un reale impegno da parte delle palestre e della federazione di avvicinare il mondo dei piccoli judoka a quello dei grandi judoka in modo da creare un sogno e da invogliare il più possibile le future generazioni a diventare judoka e sportivi. Infatti la federazione francese spesso organizza degli eventi in cui atleti della nazionale entrano a contatto con i piccoli judoka. Poi importerei anche la formazione accademica che c’è in Francia grazie al ministero dello sport che purtroppo in Italia non c’è perchè soffriamo di scarsi finanziamenti. Questo permette ai tecnici di formarsi e di poter costruire la loro figura professionale negli anni basandosi non solo sull’esperienza sul campo. Penso che anche i tecnici italiani, più o meno esperti, avrebbero piacere di avere la possibilità di allargare le proprie competenze. Però la cosa più importante che mi porta a fare scelte ogni giorno difficili è il sistema di finanziamento degli atleti. In Francia infatti i judoka di buon livello (quelli che gareggiano in European Open e Cup) possono usufruire di un finanziamento per tutte le gare e alcuni vengono pagati anche mensilmente dai club che hanno sovvenzioni dai comuni, per non parlare degli atleti di alto livello (Open, Grand Prix, Grand Slam) che hanno uno stipendio fisso più degli sponsor che gli permettono di vivere bene anche in città costose come Parigi.
In Italia c’è un’ottima preparazione fisica rinomata per tutti gli sport, ma esporterei soprattutto la grande capacità che abbiamo nella preparazione tattica e strategica. Lo studio dell’avversario e l’elaborazione e l’allenamento di una strategia ostica per le altre nazioni che ci incontrano. E quindi la capacità di cogliere le opportunità quando si presentano che, come tutti i professionisti sanno, è un ingrediente importante del judo.
Quali sono i tuoi obiettivi professionali e sportivi per il 2020?
Obiettivi professionali, tanti e bisogna scegliere. A livello professionale vorrei portare in azienda, sia in Italia che in Francia certi concetti della leadership e il concetto di squadra, come ho già iniziato a fare, ma soprattutto vorrei continuare a seguire diversi sport, che siano collettivi o individuali. Poi piano, piano mi piacerebbe iniziare a creare una mia struttura per quanto riguarda la preparazione mentale di atleti, squadre, allenatori ma anche artisti e persone che cercano la prestazione come i manager e dirigenti d’azienda, ovviamente non sarà realizzabile tutto nel 2020 ma negli anni a venire, magari quando deciderò di appendere il judogi al chiodo. Un altro piccolo obiettivo è quello di portare anche in Italia quello che ho imparato in Francia a chi è aperto alla preparazione mentale. In ambienti come il calcio questo esiste già e penso che sia arrivato il momento di portarlo anche in altri sport. Ovviamente per ora la passione che mi alimenta è il judo e in Francia ho più possibilità di allenarmi a un certo livello e spero anche di riuscire a finanziarmi per quanto sia difficile. Quest’anno vorrei tornare in forma dopo il trauma cranico di Malaga che mi ha tenuto un po’ lontana dal tatami e ho ricominciato proprio da questo Winter Camp. Questo è l’anno olimpico quindi ci saranno poche Eurpean Cup e Open ma io continuo per la mia strada divertendomi e allenandomi duramente cercando di migliorarmi passo dopo passo con tutto lo staff che mi segue e il mio allenatore Thierry Dibert.