Un passaparola innarrestabile si sta spargendo in tutto il mondo per festeggiare in occasione del 29 e 30 novembre i 40 anni dal primo campionato mondiale femminile che si è svolto a New York nel 1980.
Ed è proprio nella Grande Mela che l'evento previsto per l'anniversario avrà luogo, mettendo in contatto le protagoniste dell'epoca, ripescate da ogni angolo del pianeta, con l'organizzazione da parte della IJF nella figura di Elisabetta Fratini, in collaborazione con la federazione statunitense ed un passaparola in cui un ruolo importante è da vedersi anche nella collaborazione e supporto di Cristiana Pallavicino che si è messa sin da subito a disposizione per sfruttare la sua rete di contatti per reperire materiale, testimonianze ed adesioni.
Singolare, infatti, è la naturalezza con cui tutto questo è nato, partendo da un altro tipo di festeggiamenti, quelli per i 70 anni di una delle atlete cardine di quella manifestazione, la prima medaglia d'oro azzurra Margherita De Cal. In quell'occasione, infatti, tutta la squadra si è ritrovata ad Andreis, assieme ad Elisabetta Fratini, Maria Grazia Perrucci ed in collegamento video con Jean Kanakogi, figlia di Rusty Kanokogi e Janet Bridge, mettendo le basi per realizzare così un altro grande evento mondiale.
Una generazione di donne pazzesca, che vede figure come quella di Rusty, nata sotto il nome di Rena Glickman. La sua passione, ostinazione, perseveranza, portarono il judo femminile a quel primo mondiale a New York, arrivando addirittura ad ipotecare la casa in cui viveva per finanziarlo. Nata il 30 luglio 1935, Rena Glickman crebbe nei pressi di Coney Island e scelse il soprannome Rusty per la sua amicizia con il cane randagio locale che portava quel nome. Nei primi anni 60 andò a studiare in Giappone nel Kodokan Judo Institute dove conobbe Ryohei Kanakogi, che poi sposò. «Diede anche a me una spinta straordinaria - ha detto Billie Jean King, leggendaria tennista e amica della Kanokogi fin dal 1970 - avrebbe potuto convincere la gente a fare qualsiasi cosa». Dopo il Mondiale a New York, Kanokogi si impegnò per l’inserimento del judo femminile nel programma olimpico, riuscendoci nel 1984 a Los Angeles come sport dimostrativo e poi, a pieno titolo ai Giochi di Seul nel 1988, cui Rusty partecipò come allenatore degli Stati Uniti. Nonostante le grandi conquiste per le donne nello sport, Kanokogi ha sempre respinto l'etichetta di femminista e spiegò così la sua passione: “Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per amore, che fossi donna oppure uomo non importava, io volevo solo continuare a studiare la mia disciplina”. Rusty Kanakogi dovette arrendersi ad un brutto male nel 2009, ma per chi avesse l’occasione di andare a New York, all’angolo fra la Surf Avenue di Coney Island e la 17esima West Street, alzando gli occhi potrà leggere la nuova denominazione della via “Rena ‘Rusty’ Kanakogi Street”. A dedicargliela è stata la città di New York, il 27 ottobre 2019. Un giorno prima del World Judo Day. Ed il quarantesimo anniversario di quel primo mondiale femminile a New York vuole essere un tributo a Rusty.
E le azzurre di New York? Sette erano le ragazze che presero parte a quella prima spedizione azzurra: la già citata Margherita De Cal medaglia d'oro nei +72kg; Anna De Novellis, seconda nei 48 kg vinti da Janet Bridge, inglese ed attuale vicepresidente dell’European Judo Unio; Laura Di Toma, argento anch'essa ma nei 61kg; Cristina Fiorentini, quinta nei 72 kg; Nadia Amerighi, che arrivò agli ottavi nei 66 kg; Patrizia Montaguti nei 52 kg; Maria Vittoria Fontana nei 56 kg. Una gara portata avanti da queste meravigliose donne che portarono l’Italia guidata da Maria Bellone e Alfredo Monti al terzo posto del medagliere per nazioni, vinto dall'Austria.
“A quell’appuntamento del 1980 – dice Laura Di Toma – il movimento del judo femminile azzurro si fece trovare pronto grazie all’importante lavoro ed all’impegno di grandi persone quali Franco Natoli, Maria Bellone, Alfredo Monti e tutti quelli e quelle che hanno creduto in noi, che ci hanno accompagnato, allenato e sostenuto. Comprese le nostre famiglie”.
“Non ero convinta che sarei stata parte della squadra, nonostante in quel periodo avessi vinto tutto il possibile, non credevo di essere all’altezza. - racconta Margherita De Cal - Partii pensando di fare un’esperienza. Prima di cominciare qualcosa ho sempre un po’ di paura, ma poi da leone che sono come il mio segno zodiacale, vado fino in fondo.
Se ripenso alla gara, mi è sembrato tutto molto facile, ho vinto quattro incontri tutti per ippon. Ricordo che avevo saltato un turno, ma solo tempo dopo scoprii che questo era accaduto perché ero ritenuta testa di serie! Tutti davano per scontata la mia vittoria, tranne me! Quel mondiale è stata una cosa grande, un sogno realizzato. Tutte noi lo stavamo aspettando e avevamo lavorato tanto per quel traguardo. L’altro sogno era l’Olimpiade, ma purtroppo sono arrivate troppo tardi, quando io avevo già smesso con l’agonismo. Ricordo con affetto le persone che ho incontrato là, in particolare Rusty e sua figli a Jane, davvero deliziose, così come le mie compagne di squadra.
Ricordo che dopo la finale mi sono corse incontro per abbracciarmi e ricordo che la prima è stata Nadia. Sentii un affetto incredibile in quella stretta. Mi ci volle tempo per realizzare quello che avevo fatto, tanto che la sera dopo i campionati, parlando con Maria Vittoria le dissi che se io fossi riuscita ad allenarmi con la stessa dedizione, disciplina di Laura (che per me incarnava l’esempio dell’atleta perfetto) avrei potuto vincere tutto, anche un campionato del mondo e Maria Vittoria mi ricordò che era quello che avevo appena fatto. Io poi sono convinta che si è campioni fino a che si sale sul podio, quando si scende è finita, è stata solo una tappa. Se avessero fatto un altro campionato il giorno dopo non avrei detto con sicurezza che avrei vinto di nuovo.”
“Sembra ieri, ma sono passato quarant’anni! - commenta Cristina Fiorentini - Ricordo che si era cominciato a parlarne già due anni prima e io ero giovanissima, tanto che non avrei mai pensato di far parte di questa spedizione. Nella mia categoria c’era Maria Teresa Motta, che però per problemi legati al peso non riuscì a partecipare e quindi partii io al suo posto. Avevo 17 anni.
Fu un’avventura. Andare a New York all’inizio degli anni 80 era come andare sulla Luna.
Non avevamo niente, ci arrangiavamo per tutto. Il nostro allenatore, il maestro Monti ci faceva non solo da preparatore, ma anche da fisioterapista, da dietista… Nessuno ci diceva cosa dovevamo fare.
Se eravamo lì è stato soprattutto merito di Rusty che ha voluto fortemente questa gara e che grazie ai suoi contatti giapponesi è riuscita a realizzarla. È stata una figura fondamentale.
In merito alla gara, io purtroppo persi la chance della vita, nonostante altre 5 partecipazioni ai campionati mondiali, non riuscii più a raggiungere un incontro di finale e tornai a casa con i legamenti interni del ginocchio rotti.
Fino al 92, con le Olimpiadi di Barcellona, è stata dura per tutte noi. Vedevamo sempre gli uomini partire per fare le gare, mentre noi rimanevamo a casa.
La nostra è stata ed è ancora in qualche modo, una squadra unita, affiatata, capace di creare amicizie che durano per la vita. Quando condividi con qualcuno la fatica, la gioia e la tristezza, sono eventi che ti legano per sempre.”
“Sono stati anni bellissimi. Sia sportivamente che a livello di amicizie che durano ancora oggi, nel mio cuore c’è sempre la mia nazionale. - racconta Anna De Novellis - Ad accompagnarci alla gara c’era il maestro Monti che non ci faceva solo da allenatore, ma anche da medico, psicologo. Una figura importantissima.
Per quanto riguarda la gara, anche qui, come all’europeo, misi al collo la medaglia d’argento, sempre dietro a Janet Bridge.
Dopo questi campionati, purtroppo, ebbi un incidente che mi stroncò la carriera judoistica, ma di tutto quel periodo conservo ancora dei ricordi meravigliosi.”
"Eravamo un gruppo splendido, non solo quelle sette, ma tutta la nazionale. - ci dice Nadia Amerighi - Il Maestro Monti era riuscito a renderci tutte unite, anche se avversarie a livello nazionale. Lui diceva sempre "Chi è in forma parte". A livello personale una piccola curiosità, mia sorella Patrizia Amerighi nel 74 ha partecipato alla prima edizione di Coppa Europa (i campionati Europei di oggi) per le donne, mentre io ho partecipato alla prima edizione dei mondiali femminili. Un periodo stupendo, con delle donne stupende."
Aggiunge Maria Vittoria Fontana: "Avevo partecipato a molte gare con la divisa dell'Italia, ma i mondiali hanno un sapore diverso, sono per pochi e io ero lì tra le poche. La tensione a mille, New York, il Madison Square Garden, il tempio dello sport... e io lì con le più brave. Avrei voluto fare di più, ma sono sicura di aver dato tutto quello che avevo. Il ricordo con il tempo, si è un po' sbiadito ma ogni volta che i miei genitori o mio marito ne parlano con qualcuno che non conosce il mio passato da atleta, il mio cuore fa le capriole per la stessa emozione di quei giorni."
"Fu una battaglia in cui credevamo tanto" dice Laura Di Toma. "Non si trattava solo del tatami: volevamo che i nostri sacrifici fossero equiparati a quelli di tutti gli altri, che fossimo riconosciute nel mondo senza pregiudizi."
"Al primo incontro avevo affrontato una ragazza brasiliana, dal colore della pelle diverso dal mio, e proprio in quel frangente ho avuto l’impressione di star vivendo la mondialità dell’evento. - ricorda Patrizia Montaguti - Avevo davanti a me una ragazza della mia età, del mio peso, che faceva judo come me, eppure venivamo da mondi così diversi. Mi era piaciuta davvero tanto quell’universalità."
Quarant'anni fa, come ora, l'Italia è pronta a celebrare quelle donne che hanno scritto pagine di storia per tutte le judoka del mondo aspettando con impazienza ed orgoglio quel 29/30 novembre.