Ricordo ogni momento di quando quarantaquattro anni fa varcai la soglia di quella che allora era la sede del Club Atletica Pesante Como. Mi aprì un atletico e muscoloso signore sulla quarantina d'anni che mi chiese cosa volessi. "Io voglio fare la lotta" risposi, notando nel mio interlocutore un'espressione stupita. In quella palestra, niente più che una mansarda di quattro stanze di uno stabile in centro a Como, si praticava lo sport della cultura fisica. Della lotta, e tantomeno di una materassina dove potersi allenare, non si notava traccia. Vedevo soltanto panche, manubri, dischi di ferro, bilanceri, sbarre e rematori. "Per fare la lotta devi andare al Palazzetto di Muggiò, dove per due sere alla settimana ti potrai allenare a questo sport" rispose quello che in seguito scopersi, era in quell'epoca il presidente della società sportiva. L'uomo mi guardò con l'espressione del viso sempre più interlocutoria. "Perchè mai ti sei appassionato alla lotta? Lo sai che è uno sport impegnativo e molto pesante?". Non tardai a rispondergli. "Ho guardato le Olimpiadi di Mosca alla televisione, e mi è piaciuto moltissimo il gesto di gioia di un vincitore nella lotta greco-romana quando ha realizzato di aver conquistato la medaglia d'oro". "Mi sembra un modo piuttosto singolare per innamorarsi di uno sport, comunque, se proprio hai così voglia di riempirti di lividi senza avere un solo muscolo del corpo che non ti faccia male, ti segno l'indirizzo della palestra e gli orari d'allenamento". Il muscolato signore scrisse alcune scarne indicazioni su di un foglietto di carta, poi mi congedò tornando ad occuparsi dei clienti della sua palestra. Gongolavo discendendo le quattro rampe di scale che avevo salito pochi minuti prima per arrivare alla mansarda adibita a palestra. Avevo compiuto sedici anni e poteva essere piuttosto tardi per avvicinarsi ad una disciplina così importante e impegnativa, ma dalla mia avevo la consapevolezza che pur non essendo mai salito prima su di un tappeto di lotta, quello sport sarebbe diventato una passione e una certezza della mia esistenza.
Da quel giorno di fine ottobre del 1980 non ho mai smesso di lottare, dentro e fuori dal tappeto, per affermare e riconfermare l'esistenza dell'unica società sportiva dove si perpetui la tradizione della lotta olimpica nella provincia di Como. Non è un caso se nella lingua italiana il verbo lottare riassuma il concetto del massimo impegno personale volto ad ottenere un risultato positivo. Si lotta per avere giustizia. Si lotta per ottenere un diritto. Si lotta per fare valere una ragione. Si lotta per dare un futuro migliore a quelli che verranno dopo di noi. Si lotta per vincere. Si lotta per vivere.
Non ho mai frainteso il messaggio più importante che contraddistingue questa disciplina: La lotta olimpica è un gioco, e tale deve rimanere. Proprio per questa fondamentale ragione, la lotta è stata disciplina eletta nel programma dei Giochi di Olimpia dell'antichità, fino all'ultima edizione di Parigi dell'era moderna. Questi quarantaquattro anni passati ad allevare atleti dello sport che amo più di ogni altro, mi hanno formato ad un principio fondamentale che vorrei fosse percepito dai nuovi giovani allenatori. Quando ai vostri allievi insegnate la lotta olimpica, non istruiteli al concetto della difesa e dell'offesa, ma educateli al gioco dello sport più antico e tradizionale che ci sia. Fecero così 5500 anni fa i popoli dei sumeri e degli egizi, che furono i primi a codificare il gioco della lotta con regole precise scritte su tavolette d'argilla. Se chi ci precedette, riuscì nell'intento avendo soltanto le tavolette d'argilla, non comprendo per quale ragione non dovremmo farcela noi, che disponiamo di ben altro.
Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha conferito al Club Atletica Pesante Como la Stella d'Argento per meriti sportivi. Lasciatemelo dire: "Ce la siamo meritata!".
Maurizio Casarola
Da sinistra a destra nella foto, i tecnici ed il presidente del Club Atletica Pesante Como: Maurizio Casarola, Lyudmyla Lisnyak, Stefano Bedetti.