Si sono conclusi nell'ultimo fine settimana i campionati Italiani della categoria Master.
Gichin Funakoshi, il maestro giapponese fondatore del karate moderno, colui che codificò i kata dello stile shotokan, oggi quello maggiormente praticato a livello mondiale, teorizzava che, a differenza degli altri sport che si praticano fino a una certa età e poi, invece, si guardano e basta, il karate invece "è per sempre".
I Master, la cui età spazia dai quarant'anni in su, sono la testimonianza della veridicità della affermazione che il Maestro fece più di un secolo fa.
In Italia i campionati nazionali di kumitè e di káta, riservati a questa particolare categoria di atleti che stilisticamente in molti casi rappresentano il meglio del karate, sono giunti alla 7ª edizione.
Infatti la maggior parte di essi sono ex campioni italiani, europei, maestri o comunque atleti con minimo il terzo dan. Nel karate la cintura nera non è un punto di arrivo, come generalmente pensa chi conosce superficialmente questa realtà, ma rappresenta una serie di step (i Dan) sulla via della crescita che è continua perché nel karate non si finisce mai di imparare. E più di "cresce" nei Dan e più si affina lo stile e la tecnica. Ma com'è possibile praticare uno sport di combattimento e restare integri? Il karate non ha nulla a che vedere con la boxe. Spesso le cose, sbagliando, vengono accomunate. Il karateka ha il massimo rispetto di sé stesso e dell'avversario. Partendo da questo rispetto, le tecniche nel kumitè vengono sferrate con la maggiore velocità, quindi potenza, possibile. Ma devono al massimo sfiorare l'avversario. Quello che viene comunemente chiamato skin touch. Una sorta di “schiaffetto”. Questo consente al karateka di agire con velocità e dinamismo impressionanti ma di restare integro. In uno sport del genere la parola più importante spetta agli arbitri che devono esprimere la valutazione sulle tecniche adoperate che devono possedere kimè (potenza) zanshin (la forma e lo stile) e anche precisione e soprattutto controllo. Senza controllo non è punto perché non è karate.
Gli stessi principi sono applicati ai káta che non è "combattere con le mosche" ma sono antiche tecniche di combattimento codificate che gli atleti allenano quando non hanno un avversario o quando devono memorizzare tecniche da eseguire poi con certi automatismi anche in gara. Il káta è la base e l'essenza maggiore del karàte.
In questa spettacolare disciplina la Puglia ha portato a casa 3 ori. Un argento e un bronzo nel kumitè e due medaglie, oro e bronzo, nel Kàta.
Questi gli atleti e i paesi dove vivono
Kumite:
Mitola Filippo, 59 anni Oro di Adelfia
Tricase Elisabetta 50 anni Oro di Polignano-Monopoli
Bove Luigi, Argento, 63 anni di Corato
Latella Marco Bronzo, 43 anni di Castellana Grotte
Kata:
Nuzzo Irene Oro, 42 anni di Cutrufiano (Le)
Schiuma Michele Bronzo di Bari
Forsennato Donato Bronzo di Casarano (Le)
Mitola Filippo 5⁰ posto
De Donno Giuseppe 5⁰ posto, 43 anni di Latiano (Le)