Capelli castani con una leggera brizzolatura sulle tempie, un ovale piccolo con bei lineamenti, occhi vivaci e intelligenti ma anche un poco tristi perché leggermente tagliati verso il basso. Talvolta un leggero rossore traspariva sulle gote, in alto, a dimostrazione della sua naturale timidezza.
Era Massimo, per i più, qualche volta “Il Da Prato” per me era “Il Dap”. Era forte come solo i veri forti sanno essere. Non aveva i guizzi geniali del fuoriclasse, lui era pura concretezza, costruiva tutto il suo judo con intelligenza, tattica e incrollabile fiducia nei suoi mezzi tecnici, fisici e mentali.
Il Dap non mollava mai. Allora ero un ragazzotto innamorato del judo e nomade come i ronin, con un compagno più grande, senza maestri, quella situazione nel bene e nel male, mi piaceva, mi sembrava un poco “eroica”.
Il mio Sempai, che mi aveva fatto innamorare del judo, mi affidò a lui una sera, nella sua palestra e mi disse “quando hai occasione vai da lui”, Massimo mi sorrise con i suoi occhi sinceri e ribadì l’invito “Vieni quando vuoi, ci fai piacere”.
Incominciò la lezione con una corsa che mi sembrava interminabile, ero stato attratto dall’arte, dall’estetica della tecnica, con lui scoprii cos’era l’abnegazione dell’allenamento, la fatica e la resistenza. Dopo un lavoro di tecnica e studio situazionale, una pausa per le fasciature, ci si preparava al randori.
Ci si fasciava lungamente e Massimo, oltre a kilometri di fasce aveva anche un paio di tute sotto il judogi, perché combatteva, sempre, prima di tutto con il peso e poi con il resto. Il cuore del gruppo era costituito da 4 “apostoli”, Massimo, il maestro, che era come uno schiacciasassi, inarrestabile e potente, poi gli allievi, Manù che era grosso e forte, Massimino (io), che era leggero ma zompava come un grillo e la Giovanna che era gentile ma coriacea.
C’erano anche altri ma loro erano il gruppo che conobbi negli anni ’80. In quel periodo ci allenavamo in una scuola elementare, il tatami appoggiato a terra e null’altro, a fine lezione la doccia era un tubo di gomma, ci si sciacquava così nella palestra di Ripa, scherzando e ridendo assieme come ragazzini ingenui e felici. Il gruppo poi si, spostò nuovamente, nella storica palestra Fujiyama di Pietrasanta, austera e grandissima per l’epoca, a pochi metri dalla stazione ferroviaria, ma io ripenso con nostalgia alla spartana Ripa, ai nostri anni e al nostro “amore” per te Massimo, che ci facevi vivere tutto con leggerezza e con intensità. Penso alle nostre escursioni sulle Apuane, le risate, le soste per il caffè che portavi sempre….
Grazie Massimo di come sei stato con me e con noi, sempre un fratello maggiore su cui appoggiarsi e chiedere consiglio, non eri un maestro qualsiasi, né un maestro consumato nella parte, eri sincero, tu facevi e noi ti seguivamo, ognuno a suo modo ognuno secondo le sue possibilità. Tu avevi occhi per tutti, la tua riservatezza non era esclusione, i tuoi silenzi non erano di respingimento, eri attento e scrupoloso con la gente attorno a te, e la gente non poteva che amarti. Sei stato un amico sincero, oggi ti piango e ti piangiamo ma, finite le lacrime cercheremo di portarti con noi, chi nel ricordo, chi sulla materassina o nella vita di tutti i giorni. Ciao amico mio insostituibile o, come spesso ti dicevo “il fratello acquistato”. ❤️