Roma, 24 luglio 2018 - Un anno da incorniciare quello del sumo italiano che, dopo le due medaglie ottenute ad aprile in Bulgaria (argento di Zanetti e bronzo di Quaranta), ben figura anche ai Mondiali di Taiwan: niente medaglie, ma punti importantissimi che valgono oro nel ranking europeo. Una crescita in termini di risultati che significa molto per il lavoro di diffusione della disciplina che il direttore tecnico Fausto Gobbi e tutto il movimento stanno operando nel nostro Paese: “C’è ancora molto da fare, serve unione e tanta informazione da parte di tutti, ma siamo fiduciosi”. Si, perché il sumo non è solo tracciare un cerchio a terra e strattonarsi seminudi, è molto di più e in primis è uno sport a 360° dove gli agonisti si allenano duramente ogni giorno per inseguire una passione grande che ha origini così lontane da far invidia ad ogni altra disciplina: “Il sumo ha cinque mila anni di storia, è il nonno degli sport corpo a corpo. Se gli occidentali facevano lotta, gli orientali facevano sumo, tutto deriva da qui”.
Fausto, com’è la situazione del sumo oggi in Italia?
“Per ora siamo circa un centinaio di praticanti. Se prima c’erano 7/8 scuole di riferimento ora sono diminuite, ma il numero degli atleti è rimasto lo stesso, questo perché chi prova una volta il sumo poi non lo lascia più. Tra i miei tesserati ci sono ancora ex atleti azzurri, ex campioni…”
Quale politica riorganizzativa state portando avanti?
“Tanti anni fa poteva capitare che chi militava in nazionale potesse non essere addirittura tesserato alla Federazione, oggi non è più così: negli ultimi dieci anni si è sempre di più data un’impronta di serietà, ora chi fa sumo è visibile a tutti perché tesserato ufficialmente, come è giusto che sia. Inoltre prima non tutte le regioni avevano un responsabile regionale, ora si va sempre più verso un miglioramento, ma il lavoro da fare è ancora tanto”.
Anche a livello agonistico c’è stato un cambiamento.
“Assolutamente. Una volta riuscire a fare medaglia agli Europei era un sogno, oggi si può e i risultati arrivano, questo è sinonimo della giusta programmazione che stiamo facendo. Io, in qualità di d.t., il Presidente della Commissione Sumo Franco Giuliani e Il Capo Commissario degli Arbitri dell’Unione Europa Sumo Sergio Palumbo, stiamo portando avanti il progetto di attuare dei collegiali: in termini agonistici si deve essere selettivi e seri, non basterà vincere gli Italiani, si dovrà dimostrare in raduni di essere all’altezza delle rassegne continentali e/o iridate. Solo chi sarà presente potrà eccellere e meritarsi un inserimento in nazionale e avere una preparazione sempre più di livello”.
Per quanto riguarda l’aspetto promozionale, chi può praticare il sumo?
“Tutti, donne e uomini, dai bambini agli anziani. E' divertente e facile: i più piccoli lo praticano già senza nemmeno saperlo quando solo giocano a spingersi, se introducessimo il sumo nelle scuole in poco tempo imparerebbero subito le basi. Poi questa disciplina ti dona spazialità, regole, autocontrollo e rispetto massimi".
Allora, secondo lei perché ancora si fa fatica ad accettare il sumo?
“Perché esistono dei pregiudizi inutili. Detto in maniera cruda, chi non ha mai praticato vede il sumo solo come un gruppo di persone grasse, in mutande che si strattonano. Ma per fare sumo non basta disegnare un cerchio a terra, il sedere “fuori” non è offensivo, nell’antichità lottavano nudi! Oppure non serve credere di dover essere sovrappeso. I nostri atleti sono proprio come gli altri, i ragazzi della nazionale si allenano tutti i giorni, c’è chi addirittura va a correre tre ore al giorno. Abbiamo categorie di peso, stiamo attenti all’alimentazione: ai Mondiali in Taiwan ho visto moltissimi tirare il peso, scaldarsi con le giacche a vento per sudare. I sumotori sono atleti a tutto tondo.”.
Qual è la soluzione?
“Abbattere i pregiudizi con l’informazione e l’unione. Occorre diffondere una vera e propria cultura del sumo e dovrebbe partire innanzitutto dai dirigenti e dai maestri, anche di lotta e/o judo. E ancor prima da chi già fa parte del nostro mondo: serve entusiasmo diffuso, unità e sostegno da parte di tutti: chi ama il sumo deve andare oltre a qualsiasi dissidio perché il sumo stesso ha bisogno di supporto e lavoro comune. Basti pensare che la nostra disciplina ha una considerazione dell’amicizia più forte che in qualsiasi altro sport, per questo festeggiamo da sempre con il “sumo party” tutti insieme“.
Di che si tratta?
“È una sorta di terzo tempo dove, finite le gare, ci troviamo tutti a fare festa. In molti hanno pure conosciuto quella/o che è poi diventata/o la/il loro compagna/o ad un “sumo party”! Per noi l’unione è la cosa più comune e normale che ci sia”.