Roma 11 giugno 2020
Pubblichiamo oggi un nuovo avvincente racconto storico narrato dall’arch. Livio Toschi, nella sua veste di storico della FIJLKAM. Buona lettura!
Donne a Olimpia
Alle donne era vietato partecipare alle Olimpiadi e, come afferma Pausania, quelle sposate nemmeno potevano assistervi (Richard Mandell scrive addirittura che il divieto le riguardava tutte). La punizione per le donne che in quei giorni avessero trasgredito la disposizione, attraversando il fiume Alfeo, era la morte: sarebbero state precipitate dal Tipeo, «un monte con alte rocce scoscese». Nella stessa Olimpia a loro furono però riservate apposite gare di corsa, dedicate da Ippodamia alla sposa di Zeus e chiamate perciò Eree.
Fu dunque Ippodamia (di cui ho parlato nell’articolo del 30 aprile scorso), dopo le nozze con Pelope, a istituire queste gare riservate alle fanciulle. Divise in tre categorie di età, su una distanza pari ai 5/6 dello stadio di Olimpia (quindi 160 metri) correvano con «la chioma sciolta, il chitone che scendeva poco al disopra del ginocchio, mostrando nuda la spalla destra fino al seno». Le vincitrici (la prima fu Clori, figlia del re tebano Anfione e di Niobe) ricevevano una corona di ulivo e un pezzo della giovenca sacrificata a Era. Inoltre, scrive Pausania, potevano farsi ritrarre in un quadro o in una scultura.
L’organizzazione delle gare (secondo alcuni addirittura anteriori a quelle degli uomini) dal 580 a.C. circa fu affidata al collegio delle Sedici Donne, che ogni quattro anni offrivano a Era il peplo da loro tessuto in Elide e portato nell’Eraion (il tempio dedicato alla dea) di Olimpia in processione dopo essersi purificate alla fonte Pieria. Compivano dunque lo stesso rito e avevano in pratica le stesse funzioni degli Ellanodici nei giochi maschili. Inizialmente vennero scelte tra le donne più anziane e più reputate delle 16 città dell’Elide, anche con la funzione di pacificare quelle poleis litigiose. Poi, quando le città si ridussero a 8, ognuna selezionò un paio di donne per mantenere invariato il loro numero.
Le Eree erano in sostanza una competizione rituale per ragazze nubili (parthenoi), che mantenevano in forma il loro corpo per prepararsi al matrimonio con il favore della dea.
1.
Negli “albi d’oro” delle Olimpiadi, tuttavia, non figurano soltanto uomini. Siccome si considerava vincitore il proprietario del cocchio e non l’auriga, anche delle donne ricevettero la corona di ulivo nella corsa dei carri: la prima fu Cinisca, sorella del re Agesilao di Sparta, nel 396 e nel 392 a.C. con la quadriga. La sua statua a Olimpia, in atto di preghiera accanto a una quadriga di bronzo e all’auriga, era opera di Apella, come afferma Pausania. La seconda donna vittoriosa, forse nel 368 a.C., fu un’altra spartana (Eurileonide), che s’impose nella gara delle bighe. L’ultimo successo femminile toccò a Casia Mnasithea di Elide, che nel 153 d.C. si aggiudicò la corsa delle quadrighe tirate da puledri.
2.
Le donne sposate, come ho detto non potevano partecipare o assistere ai Giochi, né tantomeno allenare i concorrenti. Ma Callipatira (o Ferenice) di Rodi, figlia del famosissimo pugile Diagora, si travestì da allenatore per essere vicina al proprio figlio Pisirodo, che gareggiava nel pugilato alla XCIV Olimpiade (404 a.C.). Esultando dalla gioia per la sua vittoria, Callipatira fece scoprire il travestimento, ma non fu punita perché figlia, sorella e madre di campioni olimpici: i cosiddetti Diagoridi, infatti, ottennero ben nove successi ai piedi della collina di Crono. Da allora, però, c’informano Filostrato e Pausania, anche gli allenatori dovettero presentarsi nello stadio nudi come gli atleti.
3.
Didascalie
In copertina: I Giochi Erei, di Prospero Piatti, olio su tela, 105x66 cm (1901)
1. Fanciulla in corsa, bronzetto, altezza 11,4 cm (560 a.C. circa) – British Museum, Londra
2. Giovani donne in corsa, ydria a figure nere del pittore di Micali (520 a.C.) – Musei Vaticani
3. “Corritrice vaticana”, marmo, altezza 154 cm senza base, copia del II secolo d.C. – Musei Vaticani