Roma 23 luglio 2020 Pubblichiamo oggi un nuovo avvincente racconto storico narrato dall’arch. Livio Toschi, nella sua veste di storico della FIJLKAM. Buona lettura!
Le corse dei cocchi
Nella puntata precedente ho cominciato a parlare delle gare di Olimpia. Continuo segnalando qualche primato. Leonida di Rodi vinse per 4 volte (dal 164 al 152 a.C.) stadio, diaulo e oplitodromia, conquistando così 12 corone, che ne fanno il più grande corridore dell’antichità. Nelle stesse discipline Ermogene di Xanto, detto Ippos (cavallo), dovette “accontentarsi” di 8 vittorie in tre Olimpiadi (dall’81 all’89 d.C.). Chionide di Sparta si aggiudicò stadio e diaulo in 3 Olimpiadi (dal 664 al 656 a.C.), come Astilo di Crotone (dal 488 al 480 a.C.), che in più s’impose nell’oplitodromia nel 480. Polites di Keramos (Caria) nel 69 d.C. vinse nello stesso giorno lo stadio, il diaulo e il dolico.
Un altro plurivincitore fu il trombettiere Erodoro di Megara, capace di suonare due trombe contemporaneamente, che si aggiudicò 10 corone dal 328 al 292 a.C. Negli sport di combattimento non possiamo dimenticare il lottatore Milone di Crotone, 7 volte olimpionico, Ippostene di Sparta (6 vittorie) e suo figlio Etimocle (5). L’araldo Valerio Eclecto di Sinope riportò 4 successi olimpici e fu trisperiodos, ossia vinse tre volte tutti i giochi del circuito.
Le antiche Olimpiadi, ma anche gli altri giochi, non comprendevano diverse gare che oggi ci sono familiari, quali il lancio del peso, il salto in alto e il tiro con l’arco, anche se Gianni Brera le includeva erroneamente nel programma: «Quandoque bonus dormitat Homerus».
La gara di apertura dei Giochi, “riservata” a sovrani e nobili, poiché i comuni cittadini non potevano permettersi di affrontarne i costi, era la corsa dei carri, minuziosamente descritta da Omero nel libro XXIII dell’Iliade e raffigurata sul Vaso François e su quello di Anfiarao (ambedue del 570-560 a.C.). I consigli del saggio Nestore al figlio Antiloco costituiscono una sorta di manuale per gli aurighi. Pindaro, nell’Olimpica I, fa addirittura risalire l’origine dei Giochi alla leggendaria competizione fra Pelope ed Enomao, finita assai male per quest’ultimo.
Qualcuno ha notato che sarebbe stato preferibile destinare la spettacolare corsa dei carri al momento culminante dei Giochi, non all’inizio. «Probabilmente – suggeriscono Finley e Pleket – si voleva aprire con la competizione che offriva la maggiore possibilità di sfoggiare pompa e splendore».
La prima corsa di quadrighe o tethrippon si disputò nel 680 a.C. (XXV Olimpiade), quella di bighe o synoris nel 408 (XCIII Olimpiade), quella di quadrighe tirate da puledri nel 384 a.C., quella di bighe tirate da puledri nel 268 a.C. Interessante la distinzione dei cavalli in due categorie di età, come avveniva per gli uomini: quelli adulti (teleioi) e i puledri (poloi). Dal 500 al 444 a.C. si disputò anche una corsa di carri trainati da muli, chiamata apene.
2.
La fase più delicata consisteva nell’allineamento dei concorrenti alla partenza. La linea di partenza dell’ippodromo di Olimpia, ideata da un certo Cleeta, aveva la forma di un triangolo isoscele. Lungo i due lati uguali si disponevano le gabbie (carceres a Roma), bloccate da una fune che si abbassava in tempi diversi per consentire un avvio non svantaggiato ai concorrenti più distanti (l’assegnazione dei posti veniva sorteggiata). Questa struttura, che Pausania paragonava alla prua di una nave, era chiamata ippaphesis e la distanza tra le due mete corrispondeva circa a 2 stadi (la lunghezza di un giro di pista era dunque di 4 stadi), ma non è chiaro il numero di giri da percorrere.
Al centro della prua si costruiva un altare di mattoni crudi, su cui era collocata un’aquila di bronzo con le ali aperte. Al segnale di partenza un meccanismo inserito nell’altare faceva alzare l’aquila per essere visibile a tutti e faceva cadere a terra la corda. Il via era dato dal suono delle trombe poiché in quella bolgia la voce degli araldi non l’avrebbe sentita nessuno. All’altezza della prima meta sorgeva un altare, chiamato tarassippo (terrore dei cavalli), cui si attribuivano poteri negativi. Girando intorno alla meta, infatti, gli incidenti non mancavano mai, soprattutto alle quadrighe.
Siccome veniva considerato vincitore il proprietario del cocchio e non l’auriga, anche delle donne ricevettero la corona: la prima fu Cinisca, sorella del re Agesilao di Sparta, nel 396 e nel 392 a.C. con la quadriga. Le fu dedicata una statua a Olimpia.
3.
A parte Alcibiade, che riportò un eccezionale successo nel 416 a.C., va menzionato Cimone di Atene: nel tethrippon con le stesse cavalle colse tre vittorie (536, 532 e 528 a.C.). Stando alle testimonianze di Erodoto e di Eliano le cavalle di Cimone furono seppellite vicino a lui e vennero effigiate nel bronzo.
La corsa dei cocchi rivestì sempre un ruolo primario, anche quando (con l’avvento della falange oplitica) si ridusse enormemente la funzione bellica dei carri. Per la prima volta il pubblico di una gara sportiva, seduto sulle tribune, fu raffigurato nel vaso di Sofilo (580-570 a.C.), di cui ci resta un frammento che illustra proprio una corsa di cocchi.
Didascalie
In copertina: Corse di cocchi ai giochi in onore di Patroclo, di Antoine-Charles-Horace Vernet (1790)
1. Auriga, Anfora panatenaica - British Museum
2. Decadramma d’argento, da Siracusa, Ø 3,5 cm, 44 g (V secolo a.C.) – Ermitage, San Pietroburgo
3. Frammento del vaso di Sofilo (580-570 a.C.), che raffigura il pubblico di una corsa di cocchi (580-570 a.C.) – Museo Archeologico Nazionale, Atene