Intervista al Professor Pierluigi Aschieri: 42 anni di Fijlkam e risultati eccezionali

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Abbiamo intervistato il professor Pierluigi Aschieri, Direttore Tecnico della Nazionale di Karate uscente. Dal primo dicembre ha lasciato il ruolo a Luca Valdesi, dopo 42 anni dedicati alla Fijlkam e al karate. Abbiamo ripercorso con lui i momenti concettualmente salienti della sua direzione tecnica…

“Sono stato chiamato nel ’79 e ho iniziato come allenatore di kumite”. A quel tempo la federazione di karate si chiamava FIKDA, poi si chiamò FITAK finché, nel 1994, il karate entrò a far parte della FILPJK che, nel 2000, si separò dalla Pesistica e divenne, nella forma ancora attuale, la FIJLKAM. “Quando il maestro Shirai ha lasciato, il Presidente di allora, Dott. Matteo Pellicone, mi ha affidato la Direzione Tecnica e mi sono occupato sia di kata che di kumite, della progettazione, della programmazione e della conduzione degli allenamenti e delle gare. All’inizio non c’era una distinzione così netta tra tecnici e direttore tecnico. Bisognava solamente risolvere tutti i problemi, eravamo in fase pionieristica. Poi, siamo riusciti a strutturarci meglio con degli allenatori specializzati sia nel kata che nel kumite. Ritenevo necessario avere persone super competenti nei ruoli specifici. Naturalmente, andando avanti ci si specializza sempre di più… la prestazione richiesta a livello internazionale è sempre più elevata.”

Ciò che da sempre ha caratterizzato il metodo del professor Aschieri è l’approccio scientifico. Nel ’79 era già docente del CONI ed ha sempre cercato di applicare le conoscenze scientifiche allo sport. “Lo sport ha bisogno della biologia, della biomeccanica e delle Neuroscienze. Lo sport significa sfidare i propri limiti, i limiti della specie. È una questione tutt’altro che banale. Le Scienze dello sport sono l’applicazione della scienza in un ambito specifico, competitivo e altamente specialistico. Siamo entità biologiche intelligenti, quindi meglio ci conosciamo e meglio possiamo esercitarci e competere.

Abbiamo fatto davvero tantissime cose con la Fijlkam. Ma secondo me, opinione personale, la più importante, di cui sono più soddisfatto, è proprio la collaborazione con il mondo della scienza: le ricerche che abbiamo fatto a tutto campo, ad esempio sui neuroni specchio, sono uniche al mondo. È stato possibile perché c’erano il professor Eusebi e il professor Andrea Lino, allora Medico Federale, che lavoravano all’Università Facoltà di Medicina e all’ Istituto Medicina e Scienze dello Sport. Abbiamo potuto fare il lavoro di ricerca e dare evidenza scientifica a determinati fatti che consentono di attuare allenamenti molto efficaci. Oggi siamo molto strutturati anche a Ostia dove abbiamo un Presidio sanitario permanente voluto dal Dott. Fanton e colleghi.”

I neuroni specchio sono stati scoperti da Rizzolati e sono il centro di quell’attività neurale che ci permette di agire e rispondere al contesto in maniera immediata, senza dover affrontare analisi e decisione in maniera conscia. “Le ricerche che abbiamo fatto hanno evidenziato l’esistenza di questa specializzazione neurale. Le ricerche si fanno su gruppi sperimentali e gruppi di controllo. Il gruppo di controllo è costituito dalle ‘persone normali’ attraverso cui si scopre come opera il cervello. Poi si lavora su atleti già affermati, ai quali il campo ha già dato conferma della loro specificità, e si evidenziano le differenze e, soprattutto, la maggiore efficienza neurale che ha il cervello degli atleti agonisti, quindi ‘specializzati’.

I neuroni specchio funzionano sia mentre si fa, sia mentre si vede fare. Il fare è il momento dell’apprendimento. Quando si è in due, si fa e si vede fare. L’altro determina la situazione, la situazionalità. Questi neuroni vengono specializzati proprio in funzione della decodificazione e risoluzione rapida della situazione. Ci sono molti esempi. Si pensi ai bambini che giocano a calcio. All’inizio sono sempre in ritardo, ma poi, piano piano, arrivano a saper prevedere la situazione e presentarsi nel punto giusto al momento giusto. La dinamica dell’anticipo viene chiamata il futuro necessario: stante quella situazione accadrà certamente qualcosa di prevedibile. Agisco nel presente in funzione del futuro desiderato, perché se lavoro nel presente arrivo sempre in ritardo perché rincorro gli eventi. Naturalmente, più è elevata la velocita e più i tempi si riducono. Se ragionassimo sulla situazione arriveremmo, in ritardo.

Ad esempio, nel kumite tutto ciò è fondamentale. La capacità di agire al momento giusto e nel modo corretto, in funzione dei regolamenti. Questo determina successo o insuccesso. Nel kumite c’è l’elemento situazionale per cui il cervello deve analizzare e decidere. Nel kata, invece, il controllo avviene sulla qualità dell’azione. Questo doppio registro in cui funziona il cervello mi ha molto appassionato nel karate.

Come si fa a diffondere questo tipo di approccio? Bisogna continuare, e molto lo abbiamo già fatto, a lavorare per migliorare la professionalità dei tecnici. La didattica giapponese non è adeguata alla nostra cultura. Noi abbiamo bisogno di un approccio che si sposi meglio al modello educativo occidentale.

Grazie al Progetto karate Sport At School, nell’ambito del programma europeo Erasmus+ Sport, in partnership con Portogallo, Spagna, Francia, Germania e Polonia, abbiamo registrato, attraverso determinate metodologie con alla base l’efficienza neurale, che anche i risultati scolastici migliorano. Migliora l’attenzione e il comportamento individuale. Questo consente di attuare dei protocolli in vari ambiti, anche scolastici".

E da qui passiamo a un altro argomento caro al Professor Aschieri come, d’altronde, a tutta la Federazione. La questione scolastica. “Abbiamo parecchi tecnici che operano nelle scuole e questo tipo di lavoro è molto apprezzato. Siamo una Federazione che guarda lontano. Ora il karate è praticato da molti bambini ed è stato possibile grazie al programma del CONI “Corpo – Movimento – Prestazione”. Il Karate è uno sport interessante dal punto di vista della crescita perché riesce a fare cose considerate impossibili. Consideriamo un attacco a velocità elevatissime che produce una grande potenza che, però, non crea il danno. È una capacità enorme questa. Sono movimenti che durano tra i 3 e i 5 decimi di secondo.

Noi, con la vita attuale, abbiamo perso quella razione di moto che avevamo. Da bambini giocavamo in continuazione e facevamo tutta una serie di attività, dalle capriole all’arrampicarsi. Secondo me, la soluzione attuale è la palestra: il luogo che va a vicariare quello che era l’ambiente naturale. Il tatami è una soluzione intelligente che va a sostituire più efficacemente il prato. Inoltre, ai bambini piacciono gli sport da combattimento perché hanno bisogno di interagire fra di loro. Karate, judo e lotta offrono questa situazione".

Ma anche se stiamo migliorando, la situazione del rapporto tra sport e scuola sembra aver bisogno di interventi più strutturali. “In Giappone e negli Stati Uniti lo sport viene fatto a scuola, all’età giusta per sviluppare l’efficienza neurale che deriva dallo sport. Noi siamo andati diverse volte a Gotemba, dove ci sono il liceo e l’università che praticano queste discipline. Lì hanno un campo da baseball, una palestra da 400 metri quadri e una pista da atletica. Ad esempio, nel liceo di Gotemba avevano un allenatore che era anche coach della nazionale e questo liceo ha vinto parecchi ori mondiali. Quando noi ci allenavamo lì, gli studenti del liceo venivano numerosissimi a vederci e a partecipare. E rimediavamo, tra l’altro, degli ottimi sparring partner (prima del Covid naturalmente).

I modelli americano e giapponese permettono una pratica di qualità e molto estesa, perché si allenano tutti i giorni. In Italia i ragazzi si allenano due o tre volte a settimana al massimo e la chiave di volta sono i Club, che fanno il lavoro che non si fa a scuola: due o tre ore alla settimana non bastano! La nostra “educazione fisica” bisognerebbe chiamarla Educazione Motoria, valorizzarla e combattere l’ipocinesi e la sedentarietà dei bambini di oggi. L’attività motoria in età evolutiva è assolutamente indispensabile”.

Eppure, a livello internazionale siamo una nazionale tra le top al mondo, senza dubbio. “Per pareggiare i conti noi abbiamo dovuto metterci la scienza. Siamo la Federazione di riferimento in questo ambito. Molte Federazioni mi chiedono consigli da anni e io, naturalmente, gli do le mie risposte. Anche scambiare informazioni è importante”. 

La carriera di Pierluigi Aschieri alla guida tecnica della Nazionale è stata straordinaria. Le medaglie del karate in ambito internazionale sono innumerevoli e quest’anno c’è stata un’ulteriore storica conferma. Ci sono state le Olimpiadi con i cinque qualificati e le due medaglie di Busà e Bottaro: “In Giappone bisognava stare in bolla. Si usciva dalla stanza soltanto per mangiare e per allenarsi. E questo è stato un problema, è molto stressante e non ci si distende mai a livello mentale. Eppure, noi siamo riusciti a superarla. Anche se non tutto è andato bene a Tokyo: abbiamo avuto due incidenti importanti, uno con Angelo Crescenzo e uno con Silvia Semeraro. Ogni tanto interviene l’imponderabile…

Il karate non sarà olimpico in Francia nel 2024 ma quello che ha fatto vedere in Giappone fa ben sperare. È uno sport che ha delle problematicità di comprensione ma è davvero interessante sia dal punto di vista scientifico che da quello sportivo. A Parigi non ci sarà per una questione di soldi. I Giapponesi hanno investito molto per il karate alle Olimpiadi e i francesi non hanno trovato il consenso governativo. A Los Angeles 2028 non sarà facile, ma ci sono comunque nuove speranze affinché il Karate possa rientrare nel programma olimpico negli Stati Uniti.

Le Olimpiadi sono un appuntamento che si dà l’umanità per sfidare i propri limiti. La molla che tiene in piedi tutto ciò è la curiosità dell’umanità. È stato un grande dispiacere non aver potuto portare questo evento a Roma. L’umanità continua a sfidare i propri limiti in tutti i campi e il più immediatamente percepibile è il campo del sé, del contesto e dell’azione. Noi, dal punto di vista cognitivo, facciamo sempre questo discorso che poi diventa anche concreto. Le neuroscienze ci hanno insegnato tantissimo.”

E poi c’è stato il Mondiale di Dubai, un’altra impresa storica con 10 medaglie conquistate dalla nazionale, tra cui lo storico oro del kumite a squadre: “Questi atleti che hanno vinto il Mondiale erano stati preparati con i protocolli che avevamo usato per la preparazione alle Olimpiadi. Anche loro avevano partecipato, come sparring partner per i nostri atleti di punta, e avevano lavorato con dei carichi molto strutturati in funzione del risultato olimpico. E queste sono cose che il cervello immagazzina e diventano parte del patrimonio individuale del soggetto. Bisogna fare manutenzione e aggiornamento in maniera continua, naturalmente, però il cervello, quando apprende, conserva”.

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