Top News 23! Quando l’avventura nel judo è qualcosa che vale
L’appuntamento con la ventitreesima ‘Top News dalle regioni’ arriva proprio in un giorno speciale per una notizia altrettanto speciale. Infatti, nel giorno di Natale di questo particolarissimo 2020, il web istituzionale della Lombardia ha raccontato una bella storia di sport. Si tratta di una storia che molti ricordano bene, altri meno bene e che vale la pena di raccontare ai più giovani che non la conoscono. A raccontarla invece, è ‘uno di noi’, uno che quella storia l’ha vissuta da molto vicino e ha scelto ugualmente una narrazione attraverso le testimonianze del territorio.
Giorgio Sozzi, quando l’avventura nel judo è qualcosa che vale
Qualcosa che vale… e tre sole parole hanno la forza di aprire un mondo di pensieri e riflessioni. Poi leggi il nome, vedi il volto, e per chi ha avuto il privilegio di conoscere e frequentare Giorgio Sozzi, tutto si fa chiaro, limpido ed il ricordo si collega soprattutto al maestro di judo, al fondatore del Kodokan Cremona ed allo storico direttore di Athlon, la longeva ed apprezzata rivista federale. Ma Giorgio Sozzi è stato anche tante, tantissime altre cose che, a metterle insieme, costituiscono un patrimonio che non si dovrebbe disperdere, né dimenticare, in modo da regalarle ai più giovani, a tutti quelli che non sono riusciti a conoscerlo. “La certezza è di aver speso il mio tempo per costruire qualcosa che vale. La speranza è di esserci in minima parte riuscito”. Queste due righe, vergate da Giorgio pochi giorni prima di andarsene nella primavera del 2012, raccontano la grande passione, l’onestà intellettuale, la fiducia profonda. Ed è grazie ad Andrea Sozzi, che attraverso le testimonianze raccolte sul territorio cittadino, ha realizzato un libro fondamentale per non disperdere, né dimenticare una storia preziosa, l’avventura nel judo di Giorgio Sozzi… qualcosa che vale. Tanto.
Per rendere l’idea si riportano due interventi, tratti fra gli altri, dall’introduzione al libro. Così ha scritto Oreste Perri, Campione Mondiale di Canoa ed ex Sindaco di Cremona.
“Giorgio Sozzi è stato maestro di moltissimi giovani e promotore di iniziative di sport e solidarietà. Dopo aver ricoperto cariche di vertice a livello nazionale come dirigente, si è dedicato all’insegnamento e alla diffusione del judo quale disciplina educativa per bambini, adulti, agonisti e non, anziani. È stato un forte atleta e rimane tutt’ora un’icona dello sport cremonese. Lo possiamo chiamare Maestro nel senso più ampio del termine, perché ha voluto educare attraverso l’insegnamento del judo a tutti i livelli. In particolare, si è speso con particolare passione e abnegazione per affermare l’utilità di questo sport nel campo del disagio sociale e in particolare della disabilità intellettiva. Ho assistito personalmente a qualche lezione con ragazze e ragazzi in difficoltà e sono rimasto affascinato per l’amore la passione con cui riusciva a coinvolgerli sul tatami e per quanta attenzione essi prestassero nell’esecuzione degli esercizi. Per la costante e amorevole dedizione di Giorgio nel campo del disagio e della disabilità, nel 2012 il Comune di Cremona ha deciso di intitolare a lui la Cittadella dei Servizi alla Persona situata nel parco del Vecchio Passeggio, nel quale operano diverse associazioni che, come ha fatto Giorgio, si prendono cura di persone con difficoltà fisiche e cognitive. Giorgio è stato un Maestro di vita che ha saputo rivolgersi ai campioni, ma senza dimenticare chi è rimasto indietro, ha voluto dare a tutti la gioia di sentirsi persone amate. Grande Maestro, amico mio, è stato fantastico vederti all’opera con i tuoi ragazzi, con la faccia da duro, ma con gli occhi teneri e lucidi di gioia! Ho visto Giorgio qualche giorno prima che ci lasciasse: era molto provato dalla malattia, ma l’ho visto felice perché non cessava mai di pensare ai suoi ragazzi, felice di portare fino in fondo la sua missione: donarsi, veder contenta e soddisfatta la sua squadra. Caro Giorgio, sei volato via, ma ci hai lasciato un grande insegnamento per lo sport e per la vita: la vittoria non è solo di chi arriva primo, ma anche di colui che sa fermarsi per aiutare chi rimane indietro. Ciao, Maestro!
Così ha scritto Marco Bencivenga, Direttore de “La Provincia di Cremona e Crema”
Per lo sport E per gli altri.
“In ogni città d’Italia ci sono persone che dedicano la vita allo Sport. O agli Altri. A Cremona ce n’è stata una capace di raggiungere in colpo solo entrambi gli obiettivi: ha vissuto per lo sport E per gli altri. In quella vocale che cambia (da O a E) è racchiuso il senso più autentico dell’impegno senza tempo e senza riserve di Giorgio Sozzi. Un dono lungo mezzo secolo, cinquant’anni di passione e di fatica che non hanno aggiunto zeri al suo conto in banca, ma tante soddisfazioni al suo cuore grande. Sozzi ha gioito per i suoi successi personali, certo -dalla prima cintura gialla fino alla nera ottavo dan, dalla fondazione del Kodokan Cremona alle cariche federali nazionali- ma ancor di più per i progressi compiuti dai suoi allievi, dai più bravi ai più fragili, dai più talentuosi ai più complicati, dai campioni riconosciuti ai campioni diversamente abili, mai trattati con pietismo o commiserazione, ma -al contrario- sempre spronati ad andare oltre i loro limiti fisici o mentali. Come ogni vero maestro di sport, Giorgio Sozzi è stato soprattutto un maestro di vita. Un educatore. Un esempio. Lo racconta bene questo libro, che il figlio Andrea gli ha voluto dedicare. Perché il ricordo non si disperda. E perché il nipote che non ha mai conosciuto sappia che gigante era suo nonno”.
Fonte: fijlkam.it/lombardia
Angela ed Elena, piccole lottatrici che crescono
Sono belli i sorrisi che splendono sui volti di Angela ed Elena, giovanissime lottatrici della Lombardia che hanno vissuto recentemente l’emozione della competizione e poi, anche quella della vittoria. Ce ne sono ancora tantissimi di sorrisi belli come questi, in ogni regione ed in ogni città, ma a rendere speciali quelli di Angela ed Elena è stato il media team della Lombardia, che ne ha fatto una notizia e la ha pubblicata qualche giorno fa sul web istituzionale. Ed è stata votata quale Top News n. 22
Due lombarde al primo posto nel torneo di Boguszow-Gorge
Due italiane presenti al torneo internazionale di lotta femminile, Heros Lady Open di Boguszow-Gorge in Polonia, e due centri perfetti. Le lombarde Angela Crapio Casarola del Club Atletica Pesante Como ed Elena Placenti del Kokoro Dai Cairate (Va) hanno trionfato nelle rispettive categorie dei 42 chilogrammi Youngers e 49 chilogrammi Cadette. La tredicenne comasca ha inanellato una serie di ben cinque match vincenti, tutti con avversarie polacche. La varesina ha disputato tre splendidi incontri che l'hanno portata ad una esaltante vittoria nel torneo. Grande la soddisfazione degli allenatori, Crapio Casarola Maurizio e Francesco Placenti che sono anche genitori delle due promettenti giovani lottatrici.
Fonte: fijlkam.it/lombardia
Top News 21! Fijlkam Marche sostiene la Donna protetta
Si è concluso sabato 17 ottobre il corso di sicurezza personale femminile destinato a donne vittime di violenza risultato del partenariato tra la società sportiva Palestra Sirius e la cooperativa sociale Il Faro. Quest’ultima lo scorso anno si è aggiudicata il bando per la gestione del centro antiviolenza provinciale di Macerata e ha previsto, tra le azioni di contrasto alla violenza contro le donne, i corsi di sicurezza e difesa personale che la Palestra Sirius propone nell’ambito del progetto Donna Protetta. “Abbiamo voluto raccogliere le competenze acquisite con l’insegnamento della difesa personale in questo progetto per poter fornire un aiuto concreto nella lotta alla violenza di genere – spiegano i referenti Antonella Pizzolla e Lorenzo Castricini - e negli anni Donna Protetta si è dimostrato un valido mezzo con cui costruire nelle donne la giusta consapevolezza riguardo la violenza, guidandole a riscoprire la loro autostima e limitando drasticamente la possibilità che diventino vittime”.
Donna Protetta si pone lo scopo di insegnare a ridurre al minimo il rischio di cadere preda di malviventi o molestatori e prevede la reazione fisica solo come ultima opportunità, da utilizzare quando qualsiasi altra azione risulti impossibile o inefficace. Alla base sono stati posti i principi del Metodo Globale Autodifesa, un programma tecnico sviluppato dalla FIJLKAM, Federazione Sportiva Nazionale riconosciuta dal CONI e unico organo di governo per gli sport del Judo, della Lotta, del Karate e delle arti marziali. Il Metodo Globale Autodifesa è una sintesi di più discipline di combattimento orientate alla difesa e permette di fronteggiare condizioni di pericolo tramite poche tecniche che possano essere assimilate in breve tempo. È completato dall’insegnamento di elementi sulla giurisprudenza che regolamenta la difesa legittima in Italia e da una conoscenza di base di psicologica applicata alle situazioni di rischio.
“La scelta di proporre un corso di autodifesa femminile gratuito - ha spiegato Elisa Giusti, responsabile dei servizi antiviolenza della cooperativa Il Faro - è maturata dall’idea di far confrontare un gruppo di donne che hanno subito violenza e dare loro l’occasione di capire che la violenza di genere è un problema culturale e strutturale della nostra società che potrebbe capitare a ognuna di noi. Per questo è necessario capire alcuni comportamenti, acquisire un linguaggio specifico, avere consapevolezza di ciò che potrebbe accadere e capire come poter tenere un atteggiamento sicuro di fronte a un possibile rischio. Quello proposto non è un corso per imparare a picchiare e difendersi dall’uomo cattivo ma un corso di conoscenza e condivisione. La donna non è oggetto di cui disporre a proprio piacimento e non è proprietà di nessuno. La paura della violenza spesso può rendere sottomesse ma conoscere quella stessa paura e nominarla poi ci dà la forza di reagire”.
Alla cerimonia di consegna degli attestati è intervenuto il Presidente del Comitato Regionale Marche FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) Marco Masi, che nel suo intervento ha evidenziato come “i principi fondamentali dei nostri sport sono il rispetto delle regole e il rispetto dell’avversario e la Federazione con MGA Donna, un programma di difesa dedicato espressamente alle signore, vuole fornire un concreto contributo alla lotta contro ogni forma di discriminazione di genere”.
Il Faro gestisce il Centro Antiviolenza di Macerata “S.O.S. Donna” che ha sportelli territoriali a Civitanova Marche, Porto Recanati, Castelraimondo e San Ginesio. Il numero telefonico è 0733/1990133.
Fonte: fijlkam.it/marche
Da sinistra nella foto: Lorenzo Castricini (istruttore), Elisa Giusti (responsabile dei servizi antiviolenza della cooperativa Il Faro), Antonella Pizzolla (istruttore), Marco Masi (Presidente FIJLKAM C.R. Marche)
Top News 20! Intervista a Takero Kurihara
Siamo arrivati alla ventesima puntata con la rubrica ‘Top News dalle regioni’ che, mai come in questo caso, si tratta di una ‘top’ in tutti i sensi. A due giorni dalla pubblicazione su fijlkam.it/lombardia infatti, ‘Storie di Judo, Takero Kurihara intervistato da Claudio Zanesco e Franco Minimo’ registra 600 letture che, per la media dei web regionali, è dato significativo che poi raccoglie anche i ‘like’ sui social. / Un giorno come gli altri, sul finire dell'estate, un post sui social fa riferimento al Maestro Takero Kurihara. Un nome ed una storia tutta da scoprire per le generazioni più giovani, ma nella bella ed accurata intervista organizzata ed allestita da Claudio Zanesco e Franco Minimo con la collaborazione di Kyomi Kurihara e Francesca Martinello, chiunque potrà trovare particolari e dettagli di una vita dedicata al judo che merita di essere raccontata e conosciuta. Grazie al Maestro Kurihara per essersi reso disponibile, ma grazie soprattutto a Claudio Zanesco e Franco Minimo, che hanno creduto all'idea di dedicare del tempo a raccogliere questa storia per farla conoscere a tutti. Buona lettura!
Buongiorno Maestro, cominciamo con alcune domande per conoscere meglio il suo passato.
Dove ha iniziato la pratica del judo?
K: Ho iniziato la pratica del Judo vicino a casa mia, a Kumamoto, la città dove abitavo da bambino. Kumamoto è considerato il paese del judo, poiché vi sono nati grandi campioni: Kimura, Iwatsuri, Uemura, Yamashita. Il Maestro era un signore anziano, aveva una drogheria e insegnava judo per passatempo. Avevo 8 anni, io non sapevo cosa fosse il judo e non immaginavo di dover indossare il judogi; ero cosi innocente e sprovveduto che credevo di poterlo fare vestito normalmente.
Crescendo ho frequentato le scuole medie, la pratica si faceva più seria. Ho imparato meglio la tecnica e gli allenamenti sono incominciati a diventare più seri. Ricordo che il mio primo judogi serio è costato 1600 yen di allora. Sono diventato cintura nera a 15 anni. Dopo la scuola media sono entrato in un liceo e lì mi sono ritrovato in uno squadrone: erano tutti forti. Io ero sì cintura nera, però gli altri non erano da meno, anzi.
Sai, proprio ieri (siamo nel settembre 2020) per caso guardavo in televisione un campionato del Giappone dell’Ovest contro l’Est (Bianchi-Rossi) e ho rivisto una squadra con cui avevamo fatto una finale, perdendo. Ieri faceva vedere le ragazze, dove combatteva la Abe, famosa nazionale giapponese, Uta Abe (Shukugawa), stava combattendo la finale con Akira Sone (Nanchiku). La finale è stata vinta dalla squadra di Nanchiku, anche noi all’epoca abbiamo perso in finale con la squadra di Nanchiku.
Successivamente, all’Università, dai 18 anni per 4 anni (l’università si chiamava Chuo, dove mi sono laureato in Economia a pieni voti) mi allenavo con Isao Okano, un grandissimo del judo con cui ho combattuto moltissime volte in allenamento e Shinobu Sekine con cui ho fatto una foto ricordo quando vinse le olimpiadi di Monaco di Baviera. Ambedue e altri colleghi di Università vennero a salutarmi all’aeroporto di Haneda, quando partii per l’Italia. Erano un centinaio di persone. Anche il Maestro Kotani, sebbene si reggesse ad un bastone, ha voluto essere presente alla mia partenza per l’Italia. Anche al mio arrivo a Milano c’era un altro centinaio di persone ad attendermi. Ricordo che Fedele Toscani mi fotografò sulla scaletta dell’aereo. Avevamo un forte spirito di squadra. Quindi Okano e Sekine, due campioni Olimpici, erano all’aeroporto con Nakamura, campione a Montreal. Quando io sono partito il giorno 17 settembre del 1964 dall’aeroporto vi erano due campioni olimpici: il capitano della mia squadra, Nakamura, e Miyata, un mio compagno di liceo, che poi è diventato un consulente scientifico del governo degli Stati Uniti d’America.
C: Quanti anni aveva quando è arrivato in Italia?
K: Quasi 23.
C: E che grado aveva quando è arrivato?
K: Quarto Dan.
C: Dove ha praticato judo in italia?
K: Principalmente, anzi, direi esclusivamente a Milano, nella palestra di via Solari (Jigoro Kano Milano) (risate).
C: Quindi ha insegnato nello storico Jigoro Kano Milano.
K: Sì, qui ho una foto. (Ci fa vedere una foto dell’epoca) Il Presidente era il Signor Novello, è stato proprio lui a farmi venire dal Giappone.
C: Quindi la sua carriera di tecnico in Italia si è sviluppata praticamente a Milano, quanti tecnici e atleti è riuscito a coinvolgere nel suo judo in quegli anni?
K: Moltissimi, ricordo Venturelli, Facchini, Castellan, Peloso. (ride) Peloso è stato veramente il mio Maestro di vita Italiana.
C: Di vita milanese suppongo.
K: Sì, mi ha insegnato tante cose. Ricordo in particolare una vacanza in campeggio a Torre di Caino (Maratea). Due anni fa ci sono tornato, ma tutto era cambiato. In quell’occasione penso di essere stato ingannato da Peloso, perché aveva promesso di cucinare il pesce che avrebbe pescato, mentre si mangiavano solo formaggini perché nessuno riusciva a pescare!
C: Maestro quale è stato, secondo lei, il periodo migliore per il judo vissuto qua in Italia, chiaramente dal suo punto di vista?
K: Per me? Mah, sicuramente quando ho aperto il mio dojo, questo dojo. Perché ho potuto insegnare come voglio io, rispettando le tradizioni. Ancora adesso faccio rispettare delle semplici regole come la sistemazione delle ciabatte prima di salire sul tatami, non dimenticare il saluto e l’etichetta del judo.
C: Lei è rimasto legato molto alle tradizioni del suo paese. Deduco che Lei oltre alla tecnica, che sappiamo tutti essere sopraffina, ha cercato sempre di portare la cultura del judo.
K: Sì certo, sempre. Tanti capiscono, ma purtroppo tanti non si impegnano per capire.
C: Negli ultimi anni ci sono stati cambiamenti in questo senso. Ha trovato difficoltà? La gente è cambiata? diversa? Come vive questi cambiamenti?
K: Per esempio, nel corso dei bambini si fa fatica a spiegare come indossare la cintura; anni fa si faceva vedere e imparavano subito. Ci saranno tanti motivi, fra cui l’abbassamento dell’età, prima cominciavano a 8 o 9 anni. Invece adesso a 5 anni.
C: In che anno ha aperto il suo club?
K: nel 1970.
C: L’altro giorno il maestro Piero Comino mi ha detto che è grazie a lei che è arrivato il judo a Udine. Ci spiega questa cosa? Piero Comino ha riferito solo che se a Udine c’è il judo è grazie al maestro Kurihara.
K: (Risate) Un giorno a Padova ho incontrato Piero Comino che mi chiese “Maestro, possiamo avere un maestro giapponese?” Gli risposi (ride) “Eh, maestro giapponese costa caro”, allora lui chiese “Ma quanto dobbiamo pagare mensilmente?” Gli risposi “Come minimo 350/400 dollari” lo sfidai, “Allora potete pagare? Se non potete pagare nemmeno mi impegno a cercare. Dovete garantire i pagamenti.” Avevo pensato di far venire anche qualcuno dalla Francia, perché dal Giappone costava tanto.
Non c’erano come adesso le tariffe economiche sugli aerei, quindi si doveva pagare tanto. Cercai in Francia e in Inghilterra per capire se c’era un’occasione per rintracciare qualcuno. Poi per caso sentii il Maestro Kuroki, che voi non credo conosciate perché è un judoka di un’epoca diversa dalla vostra. Questo Maestro Kuroki ha insegnato a Torino per 2 anni, ma voleva tornare in Giappone, diceva “Io torno perché faccio professore di ginnastica in Giappone.” Io avevo già salutato e fatto gli auguri e poi non so dopo quanti mesi, dopo un bel po’, mi chiese “Non c’è posto per me in Italia?”. “Bene”, pensai io. Allora ho chiamato Comino e poi Kuroki ha fissato un giorno per incontrare la società di Udine, la società Yama Arashi. Poi ci fu la creazione della Tenri Udine dove si allenava Laura di Toma, un fenomeno del judo. Questo mi ricordo di quella questione.
C: Tecnicamente lei chi ritiene essere il suo Maestro di judo? O ha avuto più di un Maestro?
K: il Maestro Kotani è il mio maestro che ha voluto addestrarmi come “Maestro di judo”, mentre il Maestro Yamabe dell’Università di Chuo mi ha addestrato come combattente. Penso che questi due Maestri siano stati fondamentali per me.
C: Kotani Sensei è stato uno dei grandi della storia del judo.
Quindi c’è una linea che lega il fondatore del judo al suo Maestro e quindi a Lei. Cioè, Jigoro Kano è stato insegnante di Kotani sensei e poi anche Kurihara sensei.
K: Beh, in mezzo ci sono due generazioni, io sono della terza generazione. Kotani Sensei era un mito a quell’epoca. Quando io sono partito per l’Italia, Lui aveva 63 anni; ricordo che qualche giorno prima della partenza c’era un canadese molto forte che faceva anche “Catch americano”; era venuto ad allenarsi per le Olimpiadi. Ho fatto randori con lui, ma non riuscivo a fare Ippon... solo piccoli vantaggi come koka e yuko. Il Maestro Kotani si arrabbiò molto con me, ci ha fatto randori lui e mi ha dimostrato che a 63 anni, (muove la testa ed esclama “porca miseria”), in un colpo solo è riuscito a fare Ippon. Però questo era per dimostrami che era veramente forte e che a 63 anni aveva ancora un fisico fortissimo. Tornai in Giappone dopo 4 anni ed era cambiato molto, invecchiato.
C: Mentre in Italia ci sono stati degli insegnanti di judo italiani che l’hanno piacevolmente sorpreso o interessato? Parlo dei primi anni.
K: (Scuote la testa) mai pensato.
C: Forse è una domanda a cui è difficile rispondere.
K: Sì, non rispondo perché mi viene rabbia.
C: Strana risposta. Perché viene rabbia?
K: (risate) Sei furbo, (rivolto a me) intelligente.
C: Va bene, andiamo avanti. Io mi ricordo di Lei come l’amico Franco Minimo che è qui con me adesso, dei bei tempi degli anni 80, fine anni 70/80. Dove abbiamo avuto molte occasioni tecniche da sviluppare insieme, mi ricordo molti allenamenti, corsi, trasferte, proprio un bel periodo interessante. Poi però c’è stato come un allontanamento dalla federazione. È stata volontaria o semplicemente è “andata così”?
K: (Pensa a lungo) Un grande dirigente lombardo dell’epoca si era arrabbiato furiosamente con me. Vi spiego: ogni domenica tenevo l’allenamento degli agonisti della regione. Venni chiamato all’improvviso dal Giappone perché era morta mia madre, sono andato via senza avvisare, pensavo che, quello che allora era un mio aiutante, il Maestro Beltracchini, mi potesse sostituire e partii per il Giappone. Allora, io penso che sia stato uno sbaglio perché io prima di partire dovevo telefonare, solo che ero un po’ agitato.
Tra l’altro, tornato in Giappone, i miei amici hanno trasformato il tutto in una festa perché ero lì con loro dopo tanto tempo. Al rientro in Italia, il mio incarico era andato ad altri. Io non ho detto niente perché per prima cosa so di aver sbagliato io perché dovevo avvisare. Non è che io ho voluto abbandonare la federazione. È andata così.
C: Adesso che grado ha maestro?
K: Sono ottavo dan dal 2002, sono diventato alto grado diciotto anni fa. (ci indica il diploma in originale appeso nel dojo).
C: Quindi è già 18 anni che è ottavo dan! Scusi, ma penso che siano in pochi a saperlo, io non lo sapevo che Lei in questi anni è stato insignito di questo importante riconoscimento
C: E’ uno dei gradi più elevati e più qualificati in Italia.
K: Sì, la curiosità è che me lo hanno dato il 18 settembre di 2002, nello stesso giorno del mio arrivo in Italia, 38 anni dopo.
C: Bella ricorrenza 18 settembre del 64 e 18 settembre del 2002.
C: Vedo qui (in palestra su una parete) una foto di suo figlio con il grande Yamashita.
K: Yamashita è un fenomeno. Bravissima persona, molto attento, pensa che lui ha fatto randori con mio figlio soltanto una volta. Dopo 8-10 anni ci siamo rincontrati e mi ha detto così: “Eh Maestro, suo figlio era un combattente sinistro “tagliente”. Porca miseria, si ricordava tutto, fantastico.”
C: Che rapporti intrattiene con il suo Giappone judoistico?
K: Negli ultimi anni non molto, ho un po' abbandonato i contatti.
C: Ha lasciato andare! I suoi interessi sono ormai totalmente qui, suo figlio Hayato sappiamo essere il primario della Chirurgia d’urgenza e del trauma all’Humanitas di Milano
K: Sì, lui è un bravo medico.
C: Ricordo una gara al Ronin di Monza quando Lei Maestro fece un balzo dalla balaustra per fermare uno strangolamento fatto ad un suo allievo di cui l’arbitro non si era accorto
K: Sì, mi ricordo di quell’episodio
C: Dei ragazzi del judo Lombardo nel periodo in cui se ne occupava, di chi ha maggiori ricordi?
K: (risata). Lui (Franco Minimo) e Marino Asmeri, ma poi tanti altri, Fontana, Vecchi, e tanti altri.
K: Con Asmeri ricordo sempre di un Torneo a Parigi, abbiamo fatto il viaggio insieme. Minimo, poi anche Vecchi. Stavamo perdendo il treno e Vecchi mi ha preso per il braccio e praticamente sollevato sul treno, quel giorno ho corso più di Mennea, bei tempi. La prima volta che ho visto Minimo durante una gara a Brescia avevo notato il suo bel Tai-otoshi e da quel momento seguivo sempre i suoi incontri.
C: Per finire questa intervista. Le chiedo, quanti anni ha Maestro? Lei insegna ancora attivamente?
K: Il mese prossimo il 25 (Ottobre 2020), compio 79 anni. Sì, certo. Tutti i corsi del mio dojo li tengo io.
C: Ne approfittiamo per farle gli auguri allora, a nome di tutti gli amici e allievi che lo hanno conosciuto.
K: Tra l’altro per 18 anni ho insegnato alla Scuola Militare Teuliè di Milano. Lì per ogni docente mettono un elenco con i rispettivi compleanni e anche se non sono stato Professore della Scuola, ma solo insegnante di Judo, il mio compleanno era segnalato insieme a quello dei docenti scolastici.
Ricordo felicemente quegli anni, poiché i miei Allievi mi hanno reso orgoglioso diventando Ufficiali di Alto grado. Non posso non ricordare anche gli anni passati all'Istituto Leone XXIII, scuola superiore dei Padri Gesuiti di Milano, dove ho insegnato per parecchi anni ed è con particolare orgoglio che ricordo che molti dei miei allievi, una volta raggiunta l’età adulta, sono diventati importanti dirigenti d'azienda, medici, avvocati e qualcuno... anche politico.
C: (Verso la moglie) Signora vogliamo aggiungere qualcos’altro?
MOGLIE: no no basta.
Franco Minimo: Maestro mi hanno riferito che alle Olimpiadi di Barcellona, c’era tutta la nazionale giapponese schierata e c’era un posto vuoto in mezzo. Di chi era?
Claudio: del Maestro Kurihara?
Minimo: Vero?
K: no no, non è vero!!
C: allora è vero!
(Risate)
C: Appena arrivato in Italia cosa Le è piaciuto di più?
K: il Chianti! (Risate)
C: Grandissimo. Vuole aggiungere qualcos’altro, Maestro?
K: No, grazie a voi per tutto.
C: Ora faremo alcune foto che poi metteremo nell’album e forniremo per l’intervista. Grazie mille Maestro Kurihara.
Dopo l’intervista visitiamo il Dojo, bello, sobrio, dedicato al judo con due bei tatami, sullo sfondo due judoka che eseguono una bella tecnica, il Maestro ci dice che era Lui nel suo speciale Hane Goshi, una tecnica un po' abbandonata. Aggiungo che ultimamente Shoei Ono l’ha in parte recuperata, scuote la testa e aggiunge: “Quello che non mi piace adesso è che tutti buttano la testa verso il basso per proiettare, è pericoloso, io proibirei quelle azioni. Anche Ono cade dalla guancia destra, ma se fa un piccolo errore può creare un incidente, in più i giovani imitano questa tecnica e può diventare molto pericoloso”, Judoka di altri tempi e con un altro spirito, non vi è nulla da fare.
Fonte: fijlkam.it/lombardia
Top news dalle regioni: Campania e voglia di ripartenza
Un fine settimana da Campioni. Il fine settimana appena trascorso, nel Palavesuvio a Napoli, si sono incontrati per allenarsi insieme e migliorarsi, atleti fra i migliori d'Italia, in un'atmosfera surreale per quanti controlli siano stati eseguiti scrupolosamente da uno staff attento e coordinato dalla Signora Meringhi. Si sono abbracciati virtualmente atleti che non si incontravano da marzo, ed i loro occhi, che spuntavano dalle mascherine, erano luccicanti di gioia e di emozioni. I padroni di casa della Nippon insieme alla Star Club, la Pomilia, Olimpic e Body Master hanno accolto in un clima d'amicizia gli atleti delle Fiamme Oro, Fiamme Gialle e di società ai vertici nazioni come il Banzai, Dojo Equipe, Team Iacovazzi, Kumiai, Kdk Brienza e i più prestigiosi club della Sicilia accompagnati dai tecnici Leone, Pelligra, Casale coordinati dal Maestro Bongiorno. Il Campione Olimpico Pino Maddaloni unitamente al padre Gianni ed ai tecnici Raffaele e Massimo Parlati, con il responsabile regionale del Judo campano
Bruno D'Isanto, promotori dell'evento, si sono dichiarati pienamente soddisfatti dell'elevato tasso tecnico dei partecipanti e della rigorosa applicazione dei protocolli FIJLKAM da parte di tutti i partecipanti. Il Presidente regionale Aldo Nasti, coodiuvato dal Maestro Gennaro Muscariello hanno colto l'occasione per consegnare il diploma di graduazione di 6° dan riconosciuto Motu Proprio dal Presidente Domenico Falcone a Mafalda Chiaro ed Antonio Di Virgilio. Un prestigioso riconoscimento che premia passione e competenza di altri due illustri judoka napoletani. Una grande ripartenza per il judo campano e nazionale.
Fonte: fijlkam.it/campania
Top news dalle regioni: Shibumi, Judo is fighting for a better life
Otto i siti web istituzionali delle regioni (fijlkam.it/nome della regione) che sono stati aggiornati nel corso di questa settimana, ed in tutti i casi la pubblicazione è stata riservata ai documenti, dalle Linee guida per gli eventi agonistici ai corsi di aggiornamento o formazione. Per questo motivo, ma anche per appagare la richiesta di conoscere storie, ma anche approfondimenti e riflessioni, che troppo spesso rimangono sepolte nelle pieghe del territorio locale, abbiamo colto l’occasione per dedicare il 17esimo appuntamento con la Top News dalle regioni, non al web istituzionale, bensì ad un blog garbato ed elegante. Si chiama Shibumi, sottotitolo: Judo is fighting for a better life. Concetto che, mai come ora, suona bene suggerendo coraggio e responsabilità . Buona lettura.
Quando ascolto i judoisti, a volte sento pronunciare una frase “….sai, judo è una filosofia!”. Bene, questa volta non mi gioco una frasetta (che non dice nulla) ma mi impegno a porre in modo filosofico le domande che riguardano la pratica prima, l’insegnamento poi, del metodo judo.
Il judo è una forma di educazione? Sì, noi lo crediamo e attraverso lo studio di un combattimento amplifichiamo l’allenamento judo collegandolo all’allenamento vita. Per esempio si incomincia a dire a dei ragazzini arruffati e casinisti, timidi e scontrosi, paffuti e imbranati che le ciabatte che li accompagnano dallo spogliatoio alla materassina (tatami, spazio di pratica) vanno messe in ordine prima di salire. Secondo trauma, prima di iniziare bisogna fare un saluto tutti insieme, composti e con l’abbigliamento ordinato (dai pantaloni, che di pantalone non hanno che l’approssimazione vista l’assenza di tasche, patta e bottoni, a una giacca insolita e una cintura, lembo di stoffa indomabile e disperazione di tutti i bambini perché ingovernabile).
Ma perché tutte queste “cerimonie”? potrebbe chiedere un bambino, se non fosse già passato dal quel trita-cervelli che è la scuola primaria, primo passo verso l’omologazione e la perdita di una propria originalità.
Beh, l’educazione è ciò che rende accettabili i traumi e fa in modo che li affronti volentieri, perché dall’altra parte non vedi un’autorità col fischietto, ma prima di tutto una persona, che sorride e ti aiuta, ricordandosi delle sue prime esperienze.
Lo scopo naturalmente non è tenere l’ordine fine a se stesso, ma spingere a mettere in ordine le cose piano piano per aiutare a mettere ordine in testa e tra i pensieri.
In quel combattimento, che farà molti anni dopo, dovrà aver spinto la conoscenza su di sé a tal punto da masticare la tensione, sputarla, salire a combattere concentrato e nel tempo presente… perché il judo non fa sconti… se non sei presente con il corpo e con il cuore torni subito alla casella di partenza senza ripassare dal via.
Cerchiamo quindi un’attitudine al cambiamento, nella vita quotidiana siamo sempre distratti da ricordi e desideri, navigando tra il vissuto e la progettualità, tra il passato e il futuro. Nel judo questo non è possibile, si è nel qui, ora.
Il judo è un gioco che faccio insieme ad un altro, sentendo i suoi punti di forza, proteggendo i miei, ascoltando il suo corpo e il suo respiro, valutando e soppesando dove e quando portare l’attacco. Per fare questo devo confondermi con l’altro, entrare profondamente in un sistema dove anch’io sono un po’ l’altro, anche solo per un istante, perché la proiezione la guadagno se per un attimo gli rubo l’equilibrio e lo guido giù a terra dove voglio che lui trovi lo spazio per una caduta senza ferita, controllato fino alla fine. Quando si prende un ippon (chiamiamo così l’azione perfetta in cui proietto l’altro di schiena a terra) dall’altro, se non si è in gara, siamo contenti, perché siamo carta su cui è scritta una bella frase, chiodo su cui si è appeso un bel quadro, siamo parte di una cosa perfetta.
Perché questo cerchiamo nel judo, l’esercizio costante alla perfezione. Si studiano le tecniche migliaia di volte, da fermi, in movimento, con il compagno che ti facilita, con il compagno che si oppone, da tutte le posizioni e in tutte le varianti.
La perfezione quindi esiste (!) nella ricerca sincera di essa, in un miglioramento continuo. Nella ricerca della perfezione bisogna però conoscere il senso del limite, non esagerare nelle proporzioni, non essere troppo veloci o troppo forti, troppo rigidi o troppo flessibili... dobbiamo essere nella giusta misura e quando siamo nell’armonia delle cose, le cose vengono a noi. E’ uno stato di grazia che dura poco, anzi ti accorgi che è arrivato solo perché non c’è più, è ripartito.
Quindi è il viaggio la cosa più importante da fare, il tempo della ricerca più importante del tesoro da trovare. Questa ricerca costante dell’equilibrio, questo rispetto assoluto del limite ci riporta all’impianto fondamentale del pensiero greco che sul limite e sull’accettazione del più grande dei limiti, la morte, costruisce la sua drammaturgia.
Parallelamente nel judo si dice che la costante accettazione di ricevere la tecnica dell’altro, le migliaia di cadute (simbolo della sconfitta) che si fanno nel tempo portano il judoista ad accettare per brevissimi istanti lesioni temporanee dell’io. Fino a dire che, simbolicamente, la caduta, la sconfitta sono “la morte” dell’io.
La nostra tesi è che con il tempo, la pratica profonda del judo porti ad accettare con minor dramma la morte, ad accettare l’ultimo combattimento senza desiderio di vittoria o paura della sconfitta, perché l’unico modo per segnare punto alla morte è accettarla come si accetta l’inevitabile. Da qui il senso di essere parte di un ciclo e la meravigliosa sensazione di appartenere alla natura delle cose, sentire la forza della terra e con il respiro percepire l’energia del cielo.
A.
Fonte: judoshibumi.com
Preparando un evento per i 40 anni del primo mondiale femminile
Un passaparola innarrestabile si sta spargendo in tutto il mondo per festeggiare in occasione del 29 e 30 novembre i 40 anni dal primo campionato mondiale femminile che si è svolto a New York nel 1980. Ed è proprio nella Grande Mela che l'evento previsto per l'anniversario avrà luogo, mettendo in contatto le protagoniste dell'epoca, ripescate da ogni angolo del pianeta, con l'organizzazione da parte della IJF nella figura di Elisabetta Fratini, in collaborazione con la federazione statunitense ed un passaparola in cui un ruolo importante è da vedersi anche nella collaborazione e supporto di Cristiana Pallavicino che si è messa sin da subito a disposizione per sfruttare la sua rete di contatti per reperire materiale, testimonianze ed adesioni.
Singolare, infatti, è la naturalezza con cui tutto questo è nato, partendo da un altro tipo di festeggiamenti, quelli per i 70 anni di una delle atlete cardine di quella manifestazione, la prima medaglia d'oro azzurra Margherita De Cal. In quell'occasione, infatti, tutta la squadra si è ritrovata ad Andreis, assieme ad Elisabetta Fratini, Maria Grazia Perrucci ed in collegamento video con Jean Kanakogi, figlia di Rusty Kanokogi e Janet Bridge, mettendo le basi per realizzare così un altro grande evento mondiale.
Una generazione di donne pazzesca, che vede figure come quella di Rusty, nata sotto il nome di Rena Glickman. La sua passione, ostinazione, perseveranza, portarono il judo femminile a quel primo mondiale a New York, arrivando addirittura ad ipotecare la casa in cui viveva per finanziarlo. Nata il 30 luglio 1935, Rena Glickman crebbe nei pressi di Coney Island e scelse il soprannome Rusty per la sua amicizia con il cane randagio locale che portava quel nome. Nei primi anni 60 andò a studiare in Giappone nel Kodokan Judo Institute dove conobbe Ryohei Kanakogi, che poi sposò. «Diede anche a me una spinta straordinaria - ha detto Billie Jean King, leggendaria tennista e amica della Kanokogi fin dal 1970 - avrebbe potuto convincere la gente a fare qualsiasi cosa». Dopo il Mondiale a New York, Kanokogi si impegnò per l’inserimento del judo femminile nel programma olimpico, riuscendoci nel 1984 a Los Angeles come sport dimostrativo e poi, a pieno titolo ai Giochi di Seul nel 1988, cui Rusty partecipò come allenatore degli Stati Uniti. Nonostante le grandi conquiste per le donne nello sport, Kanokogi ha sempre respinto l'etichetta di femminista e spiegò così la sua passione: “Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per amore, che fossi donna oppure uomo non importava, io volevo solo continuare a studiare la mia disciplina”. Rusty Kanakogi dovette arrendersi ad un brutto male nel 2009, ma per chi avesse l’occasione di andare a New York, all’angolo fra la Surf Avenue di Coney Island e la 17esima West Street, alzando gli occhi potrà leggere la nuova denominazione della via “Rena ‘Rusty’ Kanakogi Street”. A dedicargliela è stata la città di New York, il 27 ottobre 2019. Un giorno prima del World Judo Day. Ed il quarantesimo anniversario di quel primo mondiale femminile a New York vuole essere un tributo a Rusty.
E le azzurre di New York? Sette erano le ragazze che presero parte a quella prima spedizione azzurra: la già citata Margherita De Cal medaglia d'oro nei +72kg; Anna De Novellis, seconda nei 48 kg vinti da Janet Bridge, inglese ed attuale vicepresidente dell’European Judo Unio; Laura Di Toma, argento anch'essa ma nei 61kg; Cristina Fiorentini, quinta nei 72 kg; Nadia Amerighi, che arrivò agli ottavi nei 66 kg; Patrizia Montaguti nei 52 kg; Maria Vittoria Fontana nei 56 kg. Una gara portata avanti da queste meravigliose donne che portarono l’Italia guidata da Maria Bellone e Alfredo Monti al terzo posto del medagliere per nazioni, vinto dall'Austria.
“A quell’appuntamento del 1980 – dice Laura Di Toma – il movimento del judo femminile azzurro si fece trovare pronto grazie all’importante lavoro ed all’impegno di grandi persone quali Franco Natoli, Maria Bellone, Alfredo Monti e tutti quelli e quelle che hanno creduto in noi, che ci hanno accompagnato, allenato e sostenuto. Comprese le nostre famiglie”.
“Non ero convinta che sarei stata parte della squadra, nonostante in quel periodo avessi vinto tutto il possibile, non credevo di essere all’altezza. - racconta Margherita De Cal - Partii pensando di fare un’esperienza. Prima di cominciare qualcosa ho sempre un po’ di paura, ma poi da leone che sono come il mio segno zodiacale, vado fino in fondo.
Se ripenso alla gara, mi è sembrato tutto molto facile, ho vinto quattro incontri tutti per ippon. Ricordo che avevo saltato un turno, ma solo tempo dopo scoprii che questo era accaduto perché ero ritenuta testa di serie! Tutti davano per scontata la mia vittoria, tranne me! Quel mondiale è stata una cosa grande, un sogno realizzato. Tutte noi lo stavamo aspettando e avevamo lavorato tanto per quel traguardo. L’altro sogno era l’Olimpiade, ma purtroppo sono arrivate troppo tardi, quando io avevo già smesso con l’agonismo. Ricordo con affetto le persone che ho incontrato là, in particolare Rusty e sua figli a Jane, davvero deliziose, così come le mie compagne di squadra.
Ricordo che dopo la finale mi sono corse incontro per abbracciarmi e ricordo che la prima è stata Nadia. Sentii un affetto incredibile in quella stretta. Mi ci volle tempo per realizzare quello che avevo fatto, tanto che la sera dopo i campionati, parlando con Maria Vittoria le dissi che se io fossi riuscita ad allenarmi con la stessa dedizione, disciplina di Laura (che per me incarnava l’esempio dell’atleta perfetto) avrei potuto vincere tutto, anche un campionato del mondo e Maria Vittoria mi ricordò che era quello che avevo appena fatto. Io poi sono convinta che si è campioni fino a che si sale sul podio, quando si scende è finita, è stata solo una tappa. Se avessero fatto un altro campionato il giorno dopo non avrei detto con sicurezza che avrei vinto di nuovo.”
“Sembra ieri, ma sono passato quarant’anni! - commenta Cristina Fiorentini - Ricordo che si era cominciato a parlarne già due anni prima e io ero giovanissima, tanto che non avrei mai pensato di far parte di questa spedizione. Nella mia categoria c’era Maria Teresa Motta, che però per problemi legati al peso non riuscì a partecipare e quindi partii io al suo posto. Avevo 17 anni.
Fu un’avventura. Andare a New York all’inizio degli anni 80 era come andare sulla Luna.
Non avevamo niente, ci arrangiavamo per tutto. Il nostro allenatore, il maestro Monti ci faceva non solo da preparatore, ma anche da fisioterapista, da dietista… Nessuno ci diceva cosa dovevamo fare.
Se eravamo lì è stato soprattutto merito di Rusty che ha voluto fortemente questa gara e che grazie ai suoi contatti giapponesi è riuscita a realizzarla. È stata una figura fondamentale.
In merito alla gara, io purtroppo persi la chance della vita, nonostante altre 5 partecipazioni ai campionati mondiali, non riuscii più a raggiungere un incontro di finale e tornai a casa con i legamenti interni del ginocchio rotti.
Fino al 92, con le Olimpiadi di Barcellona, è stata dura per tutte noi. Vedevamo sempre gli uomini partire per fare le gare, mentre noi rimanevamo a casa.
La nostra è stata ed è ancora in qualche modo, una squadra unita, affiatata, capace di creare amicizie che durano per la vita. Quando condividi con qualcuno la fatica, la gioia e la tristezza, sono eventi che ti legano per sempre.”
“Sono stati anni bellissimi. Sia sportivamente che a livello di amicizie che durano ancora oggi, nel mio cuore c’è sempre la mia nazionale. - racconta Anna De Novellis - Ad accompagnarci alla gara c’era il maestro Monti che non ci faceva solo da allenatore, ma anche da medico, psicologo. Una figura importantissima.
Per quanto riguarda la gara, anche qui, come all’europeo, misi al collo la medaglia d’argento, sempre dietro a Janet Bridge.
Dopo questi campionati, purtroppo, ebbi un incidente che mi stroncò la carriera judoistica, ma di tutto quel periodo conservo ancora dei ricordi meravigliosi.”
Quarant'anni fa, come ora, l'Italia è pronta a celebrare quelle donne che hanno scritto pagine di storia per tutte le judoka del mondo aspettando con impazienza ed orgoglio quel 29/30 novembre.
(Articolo in aggiornamento) - Fonte: fijlkam.it/fvg
Top News dalle regioni: …quelle medaglie finite a Porta Portese
È arrivata all’appuntamento numero 15 la serie Top News dalle regioni, che riporta storie, aneddoti, curiosità, fatti e personaggi individuati dalla ‘rassegna stampa’ sui siti web FIJLKAM affidati alla cura dei Comitati Regionali. In quest’occasione la scelta ha premiato fijlkam.it/puglia che, grazie all’intuizione di una giovane judoka, ha riportato alla luce la storia di un bravissimo e sfortunato ragazzo che, certamente, merita di essere letta. Eccola…
Storie di Judo, le medaglie ritrovate da Micaela Sciacovelli
Micaela Sciacovelli è una giovane e promettente judoka barese che, qualche giorno fa, ha preso parte a Ostia al primo collegiale indetto per la classe cadetti dopo la riapertura del Centro Olimpico. Ed è stata lei, con la sua curiosità e la sua attenzione, che ha riportato alla luce la storia bella e sfortunata di un judoka. Un ragazzo di quarant’anni fa, con tutti i suoi sogni ed i numerosi talenti che coltivava con passione. La stessa passione che, probabilmente, fa battere il cuore a Micaela, e che ha fatto in modo che il suo sguardo catturasse qualcosa di familiare che ha riportato alla luce una storia d’altri tempi. Che vale la pensa di essere raccontata. Questo il racconto di Micaela. “Mi trovavo a Porta Portese assieme alla mia famiglia per fare una passeggiata tra i mercatini. Ci siamo arrivati per pura casualità, perchè sarei dovuta arrivare a Lido di Ostia il 31 agosto per prendere parte alla mia convocazione in Nazionale U18 post Covid, ma abbiamo scelto di arrivare il giorno prima e fare una piccola vacanza. La mattinata stava scorrendo noiosa, quando ad un certo punto un paio di medagliette hanno attirato la mia attenzione. Due passi più vicina ho focalizzato la scritta “JUDO”, mi sono incuriosita di più e ho potuto capire che si trattava di titoli italiani, assoluti ed altro ancora. Ero stupefatta! Ma come erano potute arrivare quelle vecchie medaglie in mano ad un ‘bangladino’ che insisteva per smerciarmele per 5 euro? Lui non poteva certo capire il valore di quelle medaglie che, in ciascuna, si potevano immaginare tanti sacrifici, tanto sudore e soprattutto tanto amore per questo sport! E mentre i miei familiari continuavano a dirmi “ehi, guarda questa”, e poi “guarda quest’altra”, ne ho presa una e l’ho girata. Era una che, francamente, brillava meno delle altre, ma portava inciso un nome: Marco De Luca. Non mi diceva molto, ma è normale considerando quelle date (primi anni 80, ndr), tutte lontane nel tempo, perciò ho deciso di cercare sul sito “Judo Inside” e ho capito che si trattava di un atleta non indifferente. Perchè non ho preso quelle medaglie? Perchè non mi appartenevano e, forse sbagliando, ho pensato che non ne avrei fatto niente. Ma sono arrivata anche a fare un’ipotesi assurda, che qualcuno possa averle gettate via. Oggi però, con i social network è possibile confrontarsi con moltissime persone, e proprio grazie al post che ho messo su Facebook, la storia di Marco De Luca ha iniziato un po' alla volta a ritrovare una luce”.
Ma chi è stato Marco De Luca? “Un gran bravo ragazzo” dicono Massimo Lanzi e Walter Argentin, eccellenti atleti negli anni 80 e ‘colleghi’ di Marco nel Centro Sportivo Carabinieri. “Me lo ricordo bene – ha aggiunto Massimo Lanzi – un bravo ragazzo davvero, quel che si può definire un ragazzo ‘a modo’. Classe 1954, era allievo di Dino Iorio al Kodokan Portuense ed arrivò al Centro Sportivo nel luglio 1980, dopo aver vinto il campionato italiano cinture marrone. Era al quinto anno di ingegneria e si laureò poco dopo, senza ritardi. Un fisicone, alto e asciutto, gareggiava nella categoria che, a quei tempi, era al limite dei 95 kg. Ottenne ottimi risultati, salendo anche sul podio agli Assoluti”. “Marco era figlio di un Generale dell’Esercito – ha ricordato invece Walter Argentin – che scelse di fare la sua strada, anche senza l’approvazione del padre. E se non ricordo male, fu così anche per il Centro Sportivo. Un aneddoto che ricordo volentieri e che lo fotografa bene risale, ovviamente, a tanto tempo fa. Marco era entrato da poco ed io, per non farlo fare ai colleghi romani, mi resi disponibile per il ‘piantone’ a uffici e camerate per diversi sabati e domenica. Ma dovevo comunque allenarmi, fu così che chiesi a Marco il quale, ben volentieri, accettò. E per un po' di tempo, mattina e pomeriggio ci siamo fatti mille uchi komi ciascuno. Poco dopo, agli Assoluti si classificò terzo ed era così felice, ma davvero tanto felice che, con la medaglia in mano continuava a ripetermi “è tua, questa medaglia è tua”. La sua dedizione era davvero unica”. E se se ne parla al passato, purtroppo, è perché Marco De Luca non c’è più. Trasferitosi alla Legione a Torino, Marco che era anche bravissimo ed apprezzato designer, venne assunto dalla Pininfarina-Giugiaro e si congedò. Una mattina, andando al lavoro sulla sua utilitaria, un camion gli si rovesciò addosso. Aveva poco più di trent’anni. Storie di Judo e di Judoka. Che Micaela, in qualche modo ha saputo ritrovare e con Massimo e Walter, è stata riportata alla luce. Almeno per un attimo.
Fonte: fijlkam.it/puglia
Cordoglio per una tragedia assurda
Lascia senza fiato la tragedia nel campeggio a Marina di Massa. Malak, 14 anni e Jannat, 2 anni e mezzo, sono state uccise nel sonno da un pioppo abbattuto dal vento fortissimo e crollato proprio sulla tenda nella quale dormivano assieme ai famigliari. Era l’ultimo giorno di vacanza per la famiglia torinese Lassiri, ma il caso lo ha trasformato in un incubo assurdo, che si è consumato in un attimo, alle 7.30 di una mattina d’estate. Malak, fra le altre cose, era anche una judoka che praticava assiduamente nel Judo Club Jigoro Kano che, attraverso le parole dell’allenatore Alessandro Gavin, la ricorda così: “Un largo sorriso e due grandi occhi scuri e furbi. Malak l'abbiamo sempre vista così fin dal suo ingresso in palestra quando, da piccola, si allenava nello stesso gruppo del fratellino, fino all'ultima lezione del mese di luglio in cui siamo riusciti a riaprire la palestra per ritrovarci dopo il lungo periodo di chiusura a causa del Covid. Crescendo era passata ad allenarsi nel gruppo dei grandi, con la sorella maggiore Nissrin, ma gli occhi e il sorriso erano rimasti quelli, la determinazione era aumentata e le prime soddisfazioni agonistiche iniziavano ad affacciarsi. Resterà indelebile nei nostri ricordi l'immagine di lei che, al termine dell'ultima lezione di luglio, nonostante il caldo e la fatica dell'allenamento, la sacca sulle spalle, si volta e con il suo sorriso luminoso ci saluta. Gli idoli di Malak non erano i campioni veri, quelli che vincono tutto, ma erano le cinture nere della palestra, coloro che ogni giorno la guidavano e la sostenevano nel suo percorso”. La famiglia del judo piemontese e certamente l’intera FIJLKAM è vicina con il sentimento di un profondo cordoglio a Fatima, Hicham Lassiri ed i famigliari tutti.
Fonte: fijlkam.it/piemonte
Top News dalle regioni: il compleanno speciale di una Donna Speciale
Tredicesimo appuntamento con la Top News dalle regioni ed a meritare l’evidenza è, ancora una volta, il media team del Veneto, sempre attento nella valorizzazione di fatti e personaggi del territorio regionale. Il settantesimo compleanno della grande Margherita De Cal, è stata un’occasione per ricordare e capire, ma anche per celebrare amicizie e relazioni che in video, su zoom o in presenza, ma si sono ritrovate ancora…
Margherita De Cal, un compleanno a 40 anni dal suo oro mondiale!
Ha festeggiato il suo compleanno il 10 agosto 2020 la veneziana Margherita De Cal, a 40 anni dal quell’oro mondiale che rappresenta il primo titolo iridato della storia per l’Italia.
Margherita sale per la prima volta sul tatami del Judo Club Venezia all’età di 19 anni e basta poco alla sua allenatrice (una delle poche donne a quel tempo) per intuire il talento della giovane. In appena un paio d’anni Margherita scala le classifiche nazionali, vince il suo primo Assoluto quando è ancora cintura arancione lasciandosi alle spalle le più esperte cinture nere ed entra presto nel giro della Nazionale.
A partire dal 1974 inanella una serie di successi anche in campo internazionale, ma la svolta arriva nel 1980. “Quell’anno all’Europeo di Udine abbiamo fatto tre primi e due secondi posti… che non sono pochi! Così, ci siamo giocate queste carte per i mondiali… vuoi non far partecipare una squadra così ai mondiali? E alla fine ci hanno portato.”
È il 1980 e per la prima volta, a New York, viene organizzato un campionato del mondo dedicato alle categorie femminili. In questa occasione l’atleta veneziana riesce a conquistare un’importantissima medaglia d’Oro nei +72kg, la prima in assoluto in una rassegna iridata per il nostro Paese. “Per me personalmente la sorpresa è stata scoprire, dopo la gara, che le mie avversarie mi ritenevano la favorita, perché io non lo sapevo” commenta Margherita.
In questa prima mondiale ci furono anche anche due argenti con Anna De Novellis (48kg) e Laura di Toma (61kg), ma il significato della manifestazione è molto più profondo. “Queste medaglie ci hanno permesso di avere ancora più credibilità!” – sostiene la De Cal – “Fino a quel momento tutte le attenzioni andavano ai P.O. (Probabili Olimpici), ma noi ci siamo fatte strada a suon di medaglie, tanto che la nostra squadra non ha mai lasciato un Europeo senza almeno una medaglia”.
Ma il contributo di Margherita De Cal alla nostra disciplina va ben oltre l’attività agonistica. Diplomata ISEF, dopo aver lasciato il mondo delle gare che ha sempre affiancato al lavoro di insegnante di educazione motoria alle scuole medie, nel 1982 fonda, insieme all’allenatore e al compagno di allenamento di allora, il CUS Venezia, dedicandosi all’insegnamento del judo ai bambini. “Io ho sempre detto che non avrei mai allenato gli agonisti, inoltre sono specializzata in psicomotricità relazionale e volevo dedicarmi ai bambini, mi piace che i bimbi “gareggino” per divertirsi e per scoprire che cosa sanno fare”, continua Margherita “Ho insegnato fino a qualche anno fa e poi ho lasciato spazio ad una mia collega più giovane e sono entrata a far parte del consiglio direttivo del CUS Venezia, quindi sono rimasta nel CUS, ma in un’altra veste, ad un certo punto bisogna anche avere il coraggio di capire quando è il momento di cambiare strada.”
Tanti auguri e grazie quindi a Margherita per la disponibilità durante questa chiacchierata e per tutto quello che, insieme alle sue compagne di squadra, ha fatto e continua a fare per questa meravigliosa disciplina.
Fonte: fijlkam.it/veneto